Prostata: no alla chirurgia preventiva
di Valeria Leone
Pubblicato il: 01-07-2013
Pubblicato il: 01-07-2013
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Giario Conti, Presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO), spiega: «Le ultime ricerche hanno dimostrato che l’alterazione, tramite mancate riparazioni del Dna, del gene Brca 2 nel maschio aumenterebbe il rischio relativo di sviluppare il tumore di nove volte circa rispetto alla popolazione normale. Tendenzialmente i tumori dovuti ad alterazioni genetiche sono più aggressivi, più veloci e danno più facilmente origine a metastasi. Ma per la prostata, a differenza di quello che accade per il tumore al seno e alle ovaie dove la probabilità è molto alta e dove esistono dei percorsi medici precisi, le conoscenze attuali non sono assolutamente tali da garantire la correlazione tra l’alterazione dei geni e l’insorgenza del tumore». Il test genetico va richiesto solo per coloro che hanno in famiglia diversi casi di tumore aggressivo della prostrata, ossia quando c’è una forte familiarità e si sospetta la presenza di uno di questi due geni. Pertanto, sotto queste condizioni, l’utilità dello screening genetico di massa perde di significato.
«La presenza di un'anomalia genetica non rappresenta la certezza di sviluppare il tumore della prostata - prosegue Alberto Lapini, Presidente del XXIII Congresso Nazionale SIUrO, tenutosi lo scorso giugno - e non giustifica in alcun modo una scelta così radicale qual è l’asportazione della prostata».
«Non bisogna quindi creare allarmismi e farsi prendere dalla paura, ogni caso va preso in considerazione singolarmente. L’asportazione di una prostata sana è incomprensibile e non condivisibile. L’eccesso di precauzione è dannoso e rischia di esporre a indesiderate conseguenze di operazioni perfettamente evitabili», conclude Conti.
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