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IQD: un nuovo modo di concepire la dieta

Sanihelp.it – Pochi sarebbero disposti a smentire l'assunto secondo cui la società moderna è in tutto e per tutto dipendente dalla tecnologia: anche la persona più nostalgica, ancorata a ritmi e valori di una cultura oramai scomparsa, ha dovuto presto o tardi fare i conti con una specie di  «dittatura tecnica», che porta ad agognare il possesso delle ultime novità, dal cellulare al social network, pena l'esclusione e l'alienazione da questa sorta di dimensione sociale al di sopra della realtà. Al di là comunque di alcune illustri derive, anche il più critico deve arrendersi all'evidenza che gli innumerevoli progressi in campo scientifico hanno finito per rendere la nostra vita di tutti i giorni molto più confortevole, con buona pace dei sostenitori della distinzione tra bisogno effettivo e bisogno indotto da pubblicità, cultura e conformismo. Questa comodità possiede però un'altra faccia della medaglia: tra gli effetti collaterali delle società cosiddette opulente, uno dei più preoccupanti consiste nella diffusione del fenomeno dell'obesità, condizione che porta a svariate patologie che contribuiscono a diminuire l'aspettativa di vita. Diabete, infarto, colesterolo, ipertensione, depressione: sono solo alcuni dei disturbi collegati a questa condizione, le cui cause sono state associate nella gran parte dei casi ad un eccesso di calorie introdotte, unite ad una mancanza di attività fisica.


Una ricerca scientifica ha però dimostrato come questo approccio all'obesità non sia tanto sbagliato, quanto incompleto. Al 7° Congresso Regionale della Società Italiana dell'Obesità, svoltosi alla Sapienza di Roma, è stato infatti introdotto un nuovo paramento: l'Indice di Qualità della Dieta, o IQD, che pone l'attenzione non su quanto si mangia, ma su cosa si mangia. L'IQD non è altro che un calcolo algebrico, che moltiplica l'apporto di glicidi ed acidi grassi saturi, cioè le sostanze che producono un maggiore incremento di peso: il risultato viene poi diviso per il numero di fibre ingerite, grazie all'assunzione di verdure, cereali integrali, legumi, lievito di birra e frutta tra le altre cose. Questa ricerca, svolta su di un campione di 120 volontari con abitudini alimentari diverse e medesima intensità di attività fisica, asserisce infatti che accompagnando l'assunzione di carboidrati, proteine o lipidi con alimenti ricchi di fibre, il potenziale nocivo per l'organismo diminuisce notevolmente: ciò comporta che coloro i quali mangiano soltanto carni grasse, o alcuni tipi di formaggi, avranno possibilità notevolmente maggiori di sviluppare patologie correlate all'obesità rispetto a chi assume esattamente lo stesso numero di calorie, ma che aggiungono alla loro dieta un apporto considerevole di fibre.

Nonostante possa sembrare una scoperta intuitiva, in quanto da sempre l'italiano è culturalmente stato abituato a porre l'attenzione sulla qualità della propria alimentazione oltre alla quantità, questo nuovo parametro può comportare alcune notevoli novità. Basti pensare infatti al modo di concepire le diete, basate innanzitutto sul numero di calorie assunte più che sul cosa si assume; o, per citare un altro esempio, all'importanza che la società odierna conferisce alle calorie, che vengono indicate oramai su ogni confezione dei principali alimenti da supermercato o fast food. Il prossimo ostacolo, per i ricercatori della Sapienza, sarà quello di rendere il concetto di IQD più «commestibile» alle masse, nel tentativo di soppiantare le nostre attuali concezioni. La domanda d'obbligo, dunque, è la seguente: questa scoperta rimarrà semplicemente uno strumento ad uso e consumo di medici e scienziati, o porterà effettivamente ad una rivoluzione nel nostro modo di comprendere l'alimentazione?

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