Sanihelp.it – Quando un neonato piange disperato, si sa, ci sono tante possibili spiegazioni.
Nelle prime 12 settimane di vita, ad esempio, la causa potrebbe essere un attacco di coliche intestinali, del tutto comuni e prive di conseguenze al di là dello stress dei genitori.
Ma se le crisi di pianto persistente continuano anche dopo, allora il discorso cambia: un gruppo di ricercatori del National Institutes of Health di Bethesda, nel Maryland, ha scoperto che il pianto immotivato di un bambino oltre i sei mesi di età è un valido indicatore di rischio potenziale per alcuni disturbi della crescita, quali iperattività o sviluppo cognitivo anomalo.
Seguendo con valutazioni periodiche 561 bambini dalla gestazione al quinto anno di età, i ricercatori, guidati dal dottor Malla Rao, hanno rilevato che il protrarsi del pianto oltre la fase delle coliche era associato a risultati più scarsi nei test che misuravano lo sviluppo cognitivo.
Già nei test di intelligenza effettuati a 6 mesi di età, il punteggio dei neonati con pianto persistente era di cinque punti inferiore rispetto a quello del gruppo di controllo.
A 5 anni di età, poi, le prestazioni e il punteggio del QI verbale dei bambini che avevano avuto crisi di pianto perduranti nel tempo risultavano inferiori rispetto al gruppo di controllo e risultavano peggiori anche i risultati dei test di misurazione della coordinazione occhio-mano.
Questi bambini avevano anche maggiori probabilità dei propri coetanei di essere iperattivi e di avere problemi con la disciplina.
I ricercatori sottolineano che nessuno dei neonati con pianto persistente risultava affetto da gravi problemi a livello cerebrale o di salute generale, e che tutti vivevano in un ambiente familiare simile.
Come deve comportarsi allora un genitore di fronte a inspiegabili crisi di pianto?
Sicuramente non ignorarle, ma nemmeno cadere in un eccessivo allarmismo.
Rao consiglia di informare il pediatra e di seguire insieme a lui e da vicino lo sviluppo del linguaggio, dell’udito e delle altre fasi di crescita del bambino.
«Se si ignorano i segnali di avvertimento», sostiene Rao. «poi non si potrà più riportare indietro l’orologio biologico».