HomeSalute BenessereSaluteIl diabete tra noi: almeno un malato in ogni famiglia

Il diabete tra noi: almeno un malato in ogni famiglia

Sanihelp.it – Con gli oltre 4 milioni di cittadini italiani affetti da diabete è possibile affermare che il diabete è presente in ogni famiglia: se non è un genitore o un figlio, si tratta di un fratello, un nonno, uno zio, un nipote. Secondo la mappa mondiale delle malattie che maggiormente sono causa di morte, il Mortality and Causes of Death Collaborators 2015, la mortalità totale per diabete è aumentata dal 2005 al 2015 del 32.1%, 1.5 milioni di morti in più.


Il British Medical Journal segnala l’aumento delle prescrizioni per farmaci anti-diabetici del 33% in 5 anni, dai 26 milioni del 2011 si è passati ai 35 milioni del 2015 e il numero continua a crescere. Questo incremento, se da un lato sta a significare maggiore attenzione alla diagnosi e al precoce trattamento, dall’altro indica che, con i ritmi di crescita attuali, si prevedono in Italia 5 milioni di persone affette da diabete tipo 2 entro il 2020. 

Il diabete comporta costi che ricadono sul malato e sulla sua famiglia, con giorni di assenza dal lavoro, esami, ricoveri e accessi in Pronto soccorso. Fondamentale instaurare terapie adeguate per ritardare o impedire l’insorgenza delle cronicità, causa di riduzione della qualità della vita, ma anche di incremento esponenziale dei costi.

Per questo la ricerca sta facendo passi avanti con lo sviluppo di nuovi farmaci. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha valutato l’empagliflozin, farmaco per la terapia del diabete di tipo 2, che ha mostrato una riduzione del 38% del rischio di morte per cause cardiovascolari e del 32% del rischio di morte per tutte le cause.

Mentre un altro, condotto su persone con diabete di tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori, pubblicato sulla medesima rivista, ha dimostrato che l’analogo del GLP-1 liraglutide, somministrato in aggiunta alla terapia standard, non si limita ad agire sulla riduzione della glicemia e sulla perdita di peso, ma riduce del 22% il rischio di morte per cause cardiovascolari e del 12% il rischio di infarto miocardico e ictus non fatali.

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