HomeMamma e bambinoAllarme culle vuote: perché non si fanno più bambini?

Allarme culle vuote: perché non si fanno più bambini?

La parola agli esperti

Sanihelp.it – Nel 2016 in Italia si è toccato il livello minimo di nascite, pari a 474mila culle riempite. «È noto – dice Letizia Parolari, ginecologa del Centro Medico Santagostino di Milano – che da tempo le italiane si caratterizzano per il persistere di livelli molto bassi di fecondità, in media 1,42 figli per donna nel 2012 contro una media di 1,58 figli dei 28 paesi dell’Unione europea. Forse il fatto che nel nostro Paese, in confronto a molti paesi Ocse, le donne hanno più difficoltà a conciliare lavoro e famiglia o si trovano a dover compiere una scelta tra un lavoro e dei figli».


L’Italia spende circa 1,4% del Pil per le famiglie con bambini, mentre nell’Ocse in media si spende il 2.2%. In Italia le donne dedicano al lavoro non retribuito molto più tempo degli uomini (in media, più di 5 ore al giorno le donne e meno di 2 ore al giorno gli uomini): la più ampia disparità di genere nei Paesi Ocse dopo Messico, Turchia e Portogallo e quindi scelgono in percentuale maggiore il part time che molte imprese non gradiscono.

«Se non si hanno degli aiuti validi e sempre disponibili come i nonni non si riesce a gestire una vita così complessa. In Italia ci sono molte donne senza figli: il 24% circa delle donne nate nel 1965 non ne ha avuti mentre in Francia, per esempio, solo il 10% delle donne nate nello stesso anno non ha figli», aggiunge Parolari.

Esistono anche aspetti legati alla dinamica di crescita personale e di carriera. «Perché oggi – spiega Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino – le donne sono in carriera. Il secondo stipendio in casa è necessario, il calo delle nascite è legato anche ad aspetti di sostenibilità economica, ma anche alle aspettative di tenore di vita.

E – non ultima causa – alla difficoltà che rappresenta essere mamma: un cambiamento epocale, uno tsunami esistenziale che si abbatte sulle donne verso i 35 anni. Quando sono nel momento di inizio gratificazione lavorativa, dopo gli anni di studio e dopo i primi lavori-tirocinio, una donna deve scegliere di fare la mamma rinunciando, spesso poco tutelata, a ciò che ha raggiunto nella propria vita lavorativa».

«Essere mamma è un’impresa. Non si stacca mai. Ti costringe a guardare negli occhi le tue paure, la tua inadeguatezza, l’incapacità di controllare tutto, ad accettare l’indeterminatezza di un figlio, che ti scombussola la vita, oltre che la casa»

«L’uomo è chiamato a essere l’equilibratore della salute emotiva della famiglia, non si deve sottrarre al suo ontologico ruolo di guida e figura di protezione nel nucleo famigliare, cosa che, invece, causa stress, incertezze lavorative, mancanza di senso di identità – spiega Cucchi – Proviamo a comunicare di più, ascoltare, non avere paura di mostrare paure, ansie e fragilità».

La fecondità totale in Italia è scesa nel 2016 a 1,34 figli per donna: vale a dire che è sempre più diffuso il modello del figlio unico. «È dimostrato dalla letteratura che i figli unici hanno un funzionamento neurocognitivo diverso da chi ha fratelli o sorelle: essere un figlio unico fa percepire meno affetto dalla famiglia, predispone a disagio emozionale e depressione, ansia, maggior propensione allo stress e una sorta di dipendenza dagli altri (il figlio unico è meno autonomo del figlio con fratelli). Avere uno o più fratelli aiuta sembra essere una palestra emotiva».

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