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Glioblastoma riprodotto in provetta, si studiano nuove cure

Ricerca e terapia personalizzata

Sanihelp.it – Il glioblastoma è la forma di tumore cerebrale più diffusa negli adulti e più maligna; in Europa e in Nord America, la sua incidenza è di 2-3 nuovi casi all'anno su 100.000 abitanti. 


A oggi non sono ancora disponibili cure efficaci che consentano la guarigione completa e non è nemmeno possibile realizzare programmi di screening per prevenire questo tumore. Negli ultimi decenni, nonostante i progressi dell’oncologia in campo genetico e molecolare, sono stati ottenuti soltanto miglioramenti limitati della sopravvivenza dei pazienti con glioblastoma.

Il glioblastoma recidiva nel cervello dopo circa 14-15 mesi dall’intervento neurochirurgico e dalla radio-chemioterapia e sembra la sua resistenza alle cure sia dovuta alla presenza di cellule staminali tumorali che invece di dare origine a un tessuto sano producono un tumore. 

Queste cellule sono molto resistenti alle radiazioni e ai farmaci chemioterapici e sono anche in grado di migrare al di fuori del tumore per invadere il tessuto cerebrale, lontano dall’area coinvolta dalla rimozione chirurgica. 

I ricercatori degli Istituti di Neurochirurgia, Anatomia Patologica, e Patologia Generale dell’Università Cattolica e del Policlinico A. Gemelli di Roma in collaborazione con il Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità hanno condotto uno studio proprio sul glioblastoma, recentemente pubblicato su Neuro-Oncology.

Lo studio ha dimostrato che è possibile riprodurre in laboratorio il tumore asportato in sala operatoria utilizzando le cellule staminali tumorali. Queste si moltiplicano in provetta, aggregandosi a formare delle sfere che riproducono in miniatura il tumore del paziente, conservandone le caratteristiche genetiche e molecolari.

Il professor Roberto Pallini, neurochirurgo dell’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli, spiega: «Già poche settimane dopo l’intervento possiamo analizzare in laboratorio le cellule staminali di un determinato paziente e conoscere in anticipo la risposta del tumore alla radio-chemioterapia.  Inoltre possiamo testare in laboratorio nuovi farmaci anti-tumorali per giungere a una terapia oncologica personalizzata, cioè adattata in base ai bersagli molecolari trovati nel tumore di ogni singolo paziente». 

«Il passo successivo sarà l’identificazione delle alterazioni molecolari alla base della resistenza alle terapie di queste cellule e l’individuazione di bersagli terapeutici alternativi per progettare nuove cure più efficaci», commenta la dottoressa Lucia Ricci Vitiani, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità.

«È molto importante – aggiunge il professor Luigi Maria Larocca, Anatomo-Patologo dell’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli –  che le cellule staminali tumorali, anche dopo diversi passaggi in coltura, conservino le caratteristiche molecolari del tumore del paziente, permettendo in tal modo di provare l’efficacia di nuovi farmaci non appena disponibili».  

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