HomeSalute BenessereSaluteEssere donna ed essere afflitta da Crohn e rettocolite

Essere donna ed essere afflitta da Crohn e rettocolite

Sanihelp.it – Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI, secondo l’acronimo italiano, o IBD – Inflammatory Bowel Diseases – secondo quello anglosassone) sono patologie infiammatorie croniche dell’intestino e si distinguono in Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa. Recenti studi hanno dimostrato che sembrano esserci piccole differenze nella loro incidenza a seconda del genere.


C’è una leggera predominanza nel sesso femminile per quanto riguarda la malattia di Crohn; al contrario, la colite ulcerosa prevale leggermente tra gli uomini.

Sulle donne però è necessario porre un’attenzione particolare, visto che queste patologie possono avere un impatto su quasi ogni fase della vita, dalla prima mestruazione alla gravidanza, fino alla menopausa.

Durante il X Congresso Nazionale IG-IBD alla presenza di oltre 700 partecipanti tra specialisti, specializzandi e altri operatori sanitari, se n’è discusso ampiamente. 

«Le donne affette da colite ulcerosa o malattia di Crohn presentano problematiche specifiche legate al genere femminile – spiega Aurora Bortoli, Fondazione IBD Onlus (Piemonte). – Si possono manifestare, infatti, problemi psicologici legati alla percezione della propria immagine corporea, al rapporto con il partner, all’uso di contraccettivi orali, alla sfera riproduttiva, all’osteoporosi e inoltre alla comparsa di tumori femminili. Dato il picco di incidenza delle IBD in età giovanile, molte donne sono in età riproduttiva e concepiscono dopo la diagnosi di malattia. La contraccezione, la fertilità e la gravidanza sono dunque un argomento da affrontare precocemente per fornire una risposta a dubbi e preoccupazioni per non peggiorare la qualità di vita».

IBD E FERTILITà DELLA DONNA – Se la malattia è in remissione, nelle pazienti con colite ulcerosa la fertilità non è ridotta, mentre risulta lievemente in calo nelle pazienti affette da malattia di Crohn a causa dell’infiammazione a livello pelvico/tubarico. »In entrambi i casi – sottolinea Aurora Bortoli – la fertilità è compromessa nella fase attiva della malattia e dopo interventi chirurgici in sede addomino-pelvica, anche se negli ultimi anni l’utilizzo della laparoscopia ha ridotto notevolmente l’infertilità, migliorando la capacità riproduttiva. I farmaci assunti dalle donne per la malattia intestinale, invece, non incidono sulla fertilità. Nel caso di accertata infertilità le evidenze attuali non sono sufficienti per definire se le percentuali di successo della fecondazione in vitro nelle donne con IBD siano simili o ridotte rispetto alle percentuali di successo nella popolazione generale, sebbene le percentuali di successo sembrano essere inferiori nelle donne con malattia di Crohn, in particolare quelle sottoposte a trattamento chirurgico».

IBD E GRAVIDANZA – «È estremamente importante iniziare una gravidanza in periodo di stabile remissione della malattia (preferibilmente da 6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole – evidenzia Aurora Bortoli. – L’importanza della attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione è dovuta al fatto che essa può influenzare negativamente l’esito della gravidanza, aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (<37 settimane) e basso peso alla nascita (<2500 gr). Al contrario, la malattia in remissione al concepimento ha un minimo o nullo effetto sul decorso della gravidanza ed il suo esito. Nelle donne con malattia silente al concepimento, la probabilità di riacutizzazione della malattia durante la gestazione è sovrapponibile a quella delle donne con IBD non in gravidanza. È segnalata però una maggiore recidiva della malattia in pazienti affette da colite ulcerosa nei primi due trimestri di gravidanza e nel puerperio. La recidiva non ha, in genere, un decorso più severo. Se, invece, la malattia è attiva al concepimento, solo il 30% delle pazienti tornerà in remissione durante la gravidanza, probabilmente per una resistenza alla terapia».

MICI E TUMORI FEMMINILI – «I dati di letteratura non dimostrano un aumentato rischio di tumore della mammella e dell’ovaio nelle donne che soffrono di MICI – conclude Aurora Bortoli. – È stata invece dimostrata una maggior frequenza di alterazioni neoplastiche a livello della cervice uterina, non correlata alla malattia infiammatoria intestinale in sé, ma piuttosto ai farmaci utilizzati per trattare tale patologia. Il tumore alla cervice uterina è causato dall’infezione da HPV. Le donne in terapia con farmaci immunosoppressori per periodi prolungati sono a maggior rischio di persistenza e progressione dell’infezione da questo virus. Per questo motivo è raccomandato lo screening e nelle pazienti più giovani la vaccinazione anti HPV». 

Video Salute

Ultime news

Gallery

Lo sapevate che...