Lo scompenso cardiaco è la malattia del cuore stanco: il ventricolo sinistro, che deve spingere il sangue all’interno dell’aorta per distribuirlo in tutto il corpo, non è più capace di svolgere il suo dovere. Così il cuore perde progressivamente la sua capacità di reggere agli sforzi, fino al punto che la stanchezza si manifesta anche a riposo.
In genere il problema non si presenta in modo improvviso, ma ci vogliono anni perché il quadro manifesti sintomi chiari. Questo è un aspetto preoccupante della malattia, in quanto la progressione dei sintomi porta verso un aggravamento dell’insufficienza funzionale cronica del cuore che, nonostante l’impiego di farmaci e terapie, può portare alla morte.
Lo scompenso (sistolico o diastolico)è una conseguenza di numerose patologie che, direttamente o indirettamente, danneggiano il sistema cardiovascolare:
Lo scompenso cardiaco è una malattia largamente diffusa nei paesi industrializzati (1-2%), ed è particolarmente frequente negli anziani (raggiunge infatti il 5-10% della popolazione over 65).
Questo problema è sempre stato collegato alla difficoltà in fase di compressione del muscolo cardiaco, la cosiddetta sistole.
Invece, dopo quattro anni di studio, un team internazionale di ricercatori coordinato dal professor Cesare Rusconi , primario di cardiologia all’Ospedale S.Orsola Fatebenefratelli di Brescia, ha messo in evidenza la presenza di un'altra tipologia di scompenso cardiaco: quello diastolico.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati in un volume, Left ventricular diasotlic function disfunction and failure, che è stato presentato a Milano in occasione del congresso Il cuore nella vita quotidiana dell’anziano – prevenzione dei rischi.
Nel libro vengono chiariti i meccanismi poco conosciuti della disfunzione diastolica del cuore e della sua responsabilità nel generare disturbi invalidanti che portano a ripetute ospedalizzazioni.
Si è recentemente stimato che negli Stati Uniti questa malattia sia responsabile di 500.000 ricoveri ospedalieri e 20.000 decessi ogni anno.
«In una società sempre più longeva questa malattia assume un ruolo epidemico in crescita», spiega Rusconi, «ma abbiamo già identificato le cause più comuni e soprattutto abbiamo capito che questa tipologia di scompenso va trattata in maniera diversa.
Le principali cause dello scompenso diastolico sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’obesità e le varie patologie coronariche.
Queste malattie, molto frequenti quando si è avanti con gli anni, compromettono la capacità di rilasciarsi del muscolo cardiaco, cosicché il riempimento del ventricolo sinistro viene ostacolato e il sangue si accumula nei polmoni, determinando inizialmente difficoltà di respiro.
«C’è bisogno di conoscere anche questo universo», continua Rusconi, «perché a livello terapeutico ci sono differenze sostanziali, e per il momento l’unica cosa che si può fare è curare le cause per creare una reversione».
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Esiste la possibilità di prevenire lo scompenso cardiaco?
Secondo gli esperti sì, basta imparare a vivere. Per uno stile di vita sano le parole d’ordine sono: moto, alimentazione equilibrata e farmaci.
Sentiamo il parere del professor Cesare Fiorentini, primario dell'Unità Operativa di Cardiologia dell'Ospedale San Paolo di Milano.
«È importante imparare a vivere, per prevenire che il cuore diventi stanco, cioè che venga colpito da quelle patologie che in tempi più o meno brevi portano allo scompenso cardiaco.
Generalmente la cardiopatia ischemica induce scompenso cardiaco perché provoca eventi maggiori, l'infarto miocardico prima di tutto, ma anche perché riduce l'apporto di ossigeno e quindi degli elementi energetici essenziali per la contrazione cardiaca.
È dimostrato che la sedentarietà si associa a un rischio di eventi coronarici almeno due volte superiore. Da qui l'importanza di un’attività fisica regolare e moderata.
Negli ultimi anni va affermandosi anche l’idea che il moto può essere utile anche nei soggetti che sono affetti da scompenso cardio-circolatorio avanzato.
Per quanto concerne l'alimentazione, esiste una correlazione fra massa corporea e mortalità cardiovascolare, anche perché l'obesità si associa ad altri fattori di rischio quali l'ipertensione o l'intolleranza ai carboidrati.
Non solo: è dimostrato che una dieta ricca di grassi saturi fa progredire l'aterosclerosi e in particolare quella coronarica.
Infine, i farmaci: ne esistono molti non cardiovascolari, che interferiscono negativamente sul sistema cardiovasolare e che possono ridurre la funzione cardiaca. Fra questi vanno ricordati alcuni antineoplastici, alcuni antidepressivi, quali i triciclici e la fluoxetina, alcuni anticefalalgici, antiasmatici e antidiabetici.
Per contro, il medico può oggi disporre di una gamma ampia di farmaci che possono ridurre l'entità dei sintomi e la gravità dello scompenso, quali gli ACE-inibitori, i diuretici i beta-bioccanti, gli anti-aldosteronici e diversi altri.
In molti pazienti la terapia con questi farmaci può ridurre, talora fino a far scomparire, la stanchezza del cuore».
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L’ipertensione colpisce attualmente un miliardo di persone in tutto il mondo, ovvero un sesto della popolazione mondiale. Sono gli anziani, di solito, i soggetti più a rischio, in quanto la pressione arteriosa aumenta con l'età.
Tuttavia, nonostante i dati allarmanti, circa il 70% di coloro che ne soffrono non controlla adeguatamente i valori della pressione.
Così l'ipertensione, essendo generalmente asintomatica, passa inosservata finché non viene rilevata dal medico durante un esame sistematico.
Le sue conseguenze possono essere preoccupanti: ictus, scompenso cardiaco, danno renale e lesioni alla retina.
Per contrastare l’ipertensione è necessario innanzitutto misurare la pressione arteriosa regolarmente e nel modo corretto:
Cosa succede nell’organismo quando si verifica una condizione di insufficienza cardiaca?
In caso di scompenso cardiaco, cioè quando il miocardio risulta danneggiato e sovraffaticato, si instaura una serie di alterazioni nella circolazione arteriosa e venosa che vanno ad affaticare le prestazioni cardiache, danneggiando in modo irreversibile il miocardio e, di conseguenza, peggiorando le condizioni cliniche del paziente.
All’inizio il cuore danneggiato non è in grado di pompare sangue a sufficienza per mantenere la circolazione arteriosa a livelli normali in tutto l’organismo. La quantità di sangue che viene pompata dal cuore al resto dell’organismo risulta pertanto ridotta, mentre quella che ritorna dall’organismo al cuore attraverso le vene incontra un’aumentata resistenza.
Con il crescere della pressione venosa, il liquido tende a uscire dai vasi sanguigni e crea il cosiddetto edema, sia nei polmoni (edema polmonare) sia agli arti inferiori.
Da qui si verifica la formazione di edema declive, caratterizzato da un visibile ingrossamento delle caviglie.
Ecco in sintesi i principali sintomi del fenomeno scompenso:
«Ho il cuore stanco»: si tratta di un'espressione abbastanza frequente raccolta dal medico di medicina generale o dal cardiologo, e tende a indicare genericamente una difficoltà cardiaca accusata del paziente.
Esempio: l'assistito segnala un'accelerazione del cuore o una sensazione di fiato corto quando compie un tratto di strada o di scala che in precedenza non suscitava la stessa spiacevole sensazione.
Come si comporta il medico di fronte a una dichiarazione di stanchezza cardiaca?
Risponde il professor Cesare Fiorentini, primario dell'Unità Operativa di Cardiologia dell'Ospedale San Paolo di Milano:
«Per comprendere se è davvero il cuore il primattore dei sintomi segnalati, e a quale fase di stanchezza cardiaca si è di fronte, e per scegliere quindi il processo diagnostico e terapeutico da intraprendere, il medico deve disporre di una serie di informazioni.
Il primo dato importante da conoscere riguarda un'eventuale storia precedente di patologia cardiovascolare.
Oltre ai fattori genetici, la causa maggiore di scompenso cardiaco nei paesi altamente industrializzati è la cardiopatia ischemica, fortemente favorita dai fattori di rischio ben noti della patologia coronarica, quali:
L’impatto sociale dello scompenso cardiaco è attualmente enorme. Ma la scienza sta facendo considerevoli passi avanti per abbassare il livello di mortalità.
Per esempio la terapia medica dispone oggi di nuovi farmaci che riducono il postcarico ventricolare e migliorano la performance miocardica: sono gli ACE inibitori, i bloccanti dei recettori per l’angiotensina, i beta bloccanti ad azione vasodilatante e i diuretici ad azione antialdosteronica.
Purtroppo però per la terapia farmacologica la prognosi rimane sfavorevole e la mortalità molto alta.
L’unico trattamento risolutivo rimane di fatto il trapianto, che comporta una sopravvivenza media a 10 anni di oltre l’80% ma, data la scarsità di donatori, è un’opzione riservata a pochi pazienti.
Alternativamente al trapianto e alla terapia medica si può ricorrere alla chirurgia re-shaping, che rimodella il ventricolo sinistro, riconducendo il cuore a una forma fisiologica e a una migliore funzione di pompa.
Il cardiochirurgo Lorenzo Menicanti e la sua équipe del Policlinico San Donato possono vantare la più ampia esperienza al mondo di questo intervento.
Poi ci sono i ventricular assist devices, i cuori artificiali che si usano nei pazienti in attesa di trapianto o nelle condizioni di grave insufficienza acuta del ventricolo sinistro o di entrambi i ventricoli. Essi aiutano il cuore a pompare sangue alla periferia e migliorano le condizioni contrattili del miocardio, riducendo il carico e lo stress di parete.
Purtroppo però questi devices hanno breve durata e siamo ancora lontani dall’avere un cuore artificiale che possa sostituire quello malato.
A differenza dei cuori artificiali, posti all’interno della cavità, i cosiddetti sistemi di sostegno ventricolare si posizionano sulla superficie esterna del cuore. Quelli di ultima generazione possono essere impiantati senza intervento chirurgico: un introduttore consente infatti di posizionare queste strutture attraverso una piccola toracotomia.
Parliamo infine di sistemi impiantabili e di sistemi di resincronizzazione ventricolare.
I primi cambiano la circonferenza ventricolare da circolare a bilobare, riducendo lo stress di parete e migliorando la funzione di pompa.
I sistemi di resincronizzazione ventricolare invece consistono nell’impianto di cateteri stimolatori all’interno delle cavità atriali e ventricolari attivati da un pace-maker sottocutaneo. Lo scopo è la resincronizzazione della stimolazione elettromeccanica che nel cuore scompensato è asincrona e danneggia la pompa.
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Parlando di scompenso cardiaco, lo scenario che si presenta oggi a medici e pazienti non è dei più incoraggianti: attualmente questa patologia ha un impatto sulla popolazione superiore a quello del cancro del colon, del polmone e del seno associati, la prognosi è sconfortante (il 20 % dei pazienti muore nel giro di un anno), e le dimensioni del fenomeno sono destinate ad aumentare, con una previsione di incremento per il 2010 del 40 %.
Senza contare che l’impatto sociale della malattia è enorme e che la qualità della vita dei pazienti è fortemente compromessa.
Purtroppo in molti casi la terapia medica non è efficace, e il trapianto costituisce una risposta valida solo per un numero limitato di pazienti (e da questi sono esclusi gli anziani e coloro che presentano patologie associate, per esempio il diabete).
Si può dunque facilmente comprendere che l’impegno della comunità scientifica nella ricerca di nuove strategie terapeutiche è enorme, in particolare per dimostrare i vantaggi della chirurgia nel trattamento di questo problema.
In questo senso il National Institute of Health (cioè l’ente di controllo americano per la sanità) sta per dare il via al primo studio internazionale sui vantaggi della chirurgia nei riguardi dello scompenso cardiaco.
Questo studio, coordinato da un équipe di cardiochirurghi milanesi presieduta dal dottor Lorenzo Menicanti dell’Ospedale San Donato di Milano, prende il nome di STICH trial (Surgical Treatement of Ischemic Hearth Failure), durerà tre anni e coinvolgerà 2800 pazienti, divisi in tre gruppi: il primo sarà trattato con terapia medica, il secondo sarà sottoposto a by-pass aortocoronarico e il terzo sarà operato di by-pass e rimodellamento ventricolare.
Quest’indagine intende dimostrare che l’intervento ideato nel 1984 dal chirurgo francese Vincent Dor, che consiste nel rimodellamento del ventricolo sinistro dilatato in seguito a un infarto miocardico antero-settale (che è il tipo d’infarto che più di frequente determina lo scompenso), presenta degli innegabili vantaggi sui pazienti.
«Dopo la creazione dei by-pass aortocoronarici necessari per ripristinare un’adeguata circolazione sanguigna a livello coronario», spiega il dottor Menicanti, «l’intervento prevede l’esclusione della zona dilatata del ventricolo sinistro. In questo modo il cuore riacquista una dimensione e una forma normale, migliorando la sua funzione».
Attualmente solo pochi centri al mondo si sono dedicati a questo tipo di chirurgia, che si presenta molto delicata e necessita di strutture addestrate.
«Grazie a questo trial chirurgico (il più grande finora intrapreso)», conclude il dottor Menicanti, «si dovrebbe aumentare in modo considerevole le conoscenze del fenomeno scompenso e le reali possibilità diagnostiche e terapeutiche».
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Uno dei più importanti progressi nel trattamento dello scompenso cardiaco cronico è stata l’introduzione della terapia beta-bloccante.
Infatti, comportando un calo dei volumi ventricolari e della massa miocardica e un rimodellamento ellittico del ventricolo sinistro, questi farmaci favoriscono l’evoluzione delle caratteristiche biologiche delle cellule miocardiche e sono predittive di un miglioramento prognostico.
Ma attualmente le Linee Guida delle Società Europea e Americana di Cardiologia raccomandano l’utilizzo dei β-bloccanti soltanto dopo l’assunzione di un ACE-inibitore (classe di farmaci che per primi si sono dimostrati efficaci nel ridurre la mortalità in pazienti con scompenso): questo limita di fatto l’ottimizzazione nell’impiego del β-bloccante.
Da questo problema è nato uno studio, il CIBIS III (Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study III), che propone di invertire il tradizionale schema di trattamento iniziando con un beta-bloccante, il bisoprololo, e proseguendo dopo sei mesi con l’ACE-inibitore.
I risultati dello studio, che ha arruolato pazienti over 65 (cioè la fascia di popolazione a più alto rischio di scompenso), indicano un beneficio sulla sopravvivenza dei pazienti scompensati con una riduzione della mortalità del 28% durante la fase di somministrazione del solo bisoprololo e del 31% durante il primo anno di trattamento. Tali dati sono stati comunicati al recente Congresso della Società Europea di Cardiologia di Stoccolma e pubblicati su Circulation, il giornale dell’American Hearth Association.
«Vi è un valido fondamento per l’uso dei beta-bloccanti come terapia iniziale», afferma Livio Dei Cas, professore di Cardiologia all’Università di Brescia, «in quanto inibiscono il sistema nervoso simpatico, rallentando la progressione della patologia, e sono efficaci nel ridurre la morte cardiaca improvvisa (causa prevalente di morte nelle prime fasi dello scompenso)».
Come sottolineato da Emilio Vanoli, professore associato di Cardiologia all’Università di Pavia, «CIBIS III ha superato l’assioma dell’ACE-inibitore prima di tutto, documentando che il bisoprololo può essere somministrato ai pazienti con scompenso anche in assenza di concomitante terapia con ACE-inibitore (enalapril). In tali condizioni, è stato possibile somministrare dosi più elevate di bisoprololo che non in presenza di ACE-inibitore e questo ha permesso quindi di ottenere un effetto massimale sul rischio di morte cardiaca improvvisa».
Pertanto si può concludere che le nuove regole proposte da questo studio superano le attuali linee guida internazionali e creano le condizioni per un ulteriore passo avanti nella prevenzione della morte improvvisa nel paziente scompensato.
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Il cuore è una pompa elettromeccanica la cui funzione si basa sull’accoppiamento dell’attività elettrica e meccanica delle cellule miocardiche. Quando questo accoppiamento perde di efficacia siamo in presenza di cardiomiopatia dilatativa, che porta a scompenso cardiaco.
I meccanismi coinvolti nella cardiomiopatia sono: debolezza della contrazione del muscolo cardiaco; incremento patologico dei liquidi trattenuti e della resistenza al flusso del sangue nei vasi arteriosi; eccessiva produzione di sostanze che stimolano l’apparato cardiovascolare (neuro-ormoni) e anomala conduzione dello stimolo elettrico (dissincronia) nel muscolo cardiaco che può indurre ritardo della contrazione dell’atrio e contrazione scoordinata delle pareti del ventricolo.
La dissincronia può essere corretta unicamente dalla terapia di resincronizzazione cardiaca, non con la terapia farmacologica che non influenza i meccanismi implicati nella genesi e nel mantenimento della dissincronia. La CRT (Cardiac Resynchronization Therapy) deve quindi costituire il trattamento standard per i pazienti che soffrono di una dissincronia cardiaca malgrado una terapia farmacologica ottimale.
I recenti dati dello studio randomizzato e controllato CARE-HF (CArdiac REsynchronization in Heart Failure) dimostrano che la terapia con CRT: