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La toxoplasmosi è una malattia infettiva (zoonosi) prodotta da un parassita, il Toxoplasma Gondii, portatore di infezione sia durante la vita embrionale (forma congenita) sia durante la vita extrauterina (forma acquisita). Questo protozoo è normalmente presente in uccelli e mammiferi e può trasmettersi da un animale all’altro attraverso l’alimentazione con carne infetta.
La trasmissione all’uomo è possibile invece solo dai felini (oppure ingerendo carni che contengono le cisti del Toxoplasma). In particolare, il gatto è l’ospite definitivo del microrganismo, che in questo animale compie il suo intero ciclo sessuale fino alla produzione finale di oocisti (uova), liberate nel terreno con le feci del gatto. In tal modo vengono contaminate erba e verdure, altri animali e infine l'uomo.
In genere si sente parlare di toxoplasmosi solo in gravidanza, in realtà si tratta di un’infezione molto frequente nella popolazione comune (attualmente in Italia siamo su una prevalenza del 50%), solo che, decorrendo per la maggior parte delle volte in maniera quasi o del tutto asintomatica (quando presenti, i sintomi sono leggeri e non specifici), molto spesso passa del tutto inosservata e gli infetti scoprono di averla contratta solo eseguendo uno specifico esame del sangue.
L’infezione è del tutto innocua in soggetti assolutamente sani e senza particolari problemi, si risolve spontaneamente nel tempo e non lascia conseguenze nello stato di salute del soggetto. Inoltre colui che contrae una toxoplasmosi resta poi protetto per tutto l’arco della vita da eventuali recidive, poiché risponde all’infezione con produzione di anticorpi e linfociti specifici.
Il discorso cambia in caso di insorgenza della malattia in gravidanza: in questo caso l’infezione diventa pericolosa non tanto per la gestante quanto per il bambino, infatti il protozoo può attraversare la placenta e danneggiare gravemente il feto. Per questo è importante, quando si scopre di essere incinta, sottoporsi alle analisi del sangue il prima possibile.
Nel caso il test indicasse assenza di anticorpi, non bisogna disperare: in Italia è stato calcolato che circa il 60% delle gestanti affronta una gravidanza senza protezione contro la toxoplasmosi e senza conseguenze: è sufficiente mettere in atto alcune precauzioni comportamentali e alimentari e sottoporsi regolarmente ai controlli per stare tranquille.
Possibili ripercussioni di un’infezione sulla salute del feto dipendono dall’epoca gestazionale in cui la gestante la contrae: quanto più precoce è il contagio della madre, tanto più gravi sono le conseguenze.
Questo perché l’infezione può passare al feto prima che la madre sviluppi gli anticorpi e che il feto stesso abbia sviluppato un sistema immunitario sufficientemente forte per arrestare l’infezione in corso. Le principali possibili malformazioni, verificabili soltanto mediante ecografia, sono: danni generali al sistema nervoso, idrocefalo, cecità e microcefalia.
Alla fine, di fatto soltanto un bambino su 10.000 nasce con la toxoplasmosi congenita grave. E con le attuali possibilità di trattamento, almeno il 90% di questi casi nasce senza sintomi evidenti e risulta negativo alle visite pediatriche di routine. Solo attraverso indagini strumentali più raffinate possono essere rilevabili piccole anomalie a carico dell’occhio e dell’encefalo.
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Quanto è diffusa la toxoplasmosi?
È un’infezione frequente, soprattutto nei paesi a basso stato socio-economico-sanitario. In Europa è più diffusa che negli Stati Uniti: se un americano ha il 10-15% di probabilità di aver contratto l’infezione, in Italia la percentuale sale attorno al 40-50%.
Quali sono i principali veicoli di trasmissione?
Si contrae soprattutto con l’ingestione di carne cruda infetta, venendo a contatto con terra contaminata o durante viaggi in paesi a basso tenore di vita. Più raro prenderla direttamente dai gatti, che emettono il Toxoplasma con le feci solo per alcune settimane durante l’infezione acuta, dopodiché non costituiscono più un pericolo. Naturalmente, una donna in gravidanza che non sa se il proprio gatto abbia contratto o meno l’infezione deve rispettare alcune precauzioni.
Come si manifesta?
Nel 90% dei casi non dà segni, nel restante 10% compaiono sintomi aspecifici come febbricola e linfoadenopatia latero-cervicale (ai lati del collo).
Quali complicazioni può dare?
L’infezione ha un decorso benigno; i sintomi, se presenti, scompaiono nel giro di poche settimane e la terapia non è necessaria se l’individuo è sano e non è in gravidanza. L’unica complicanza (rara) può essere il coinvolgimento della retina (corioretinite), che però compare di solito come conseguenza di una riattivazione dell’infezione.
Come si manifesta e come si cura un’eventuale corioretinite?
Si manifesta generalmente con una riduzione del visus (soprattutto della vista laterale). Deve essere seguito un esame del fondo dell’occhio per verificare la presenza di eventuali lesioni alla retina: se queste sono periferiche possono anche risolversi spontaneamente, se invece coinvolgono il nervo ottico o altre zone a rischio per la visione bisogna intervenire subito con la terapia.
Come viene diagnosticata la toxoplasmosi?
Con un’analisi del sangue in cui si ricercano degli anticorpi specifici (test IgG-IgM). Se le IgG risultano positive e le IgM negative, significa che la persona ha già contratto l’infezione e quindi ora è protetta. Se le IgG sono negative c’è il rischio di contrarre l’infezione, quindi se si tratta di una donna incinta andranno prese delle specifiche precauzioni. Se le IgM sono positive, si potrebbe trattare di infezione in atto, e quindi, se si tratta di una donna incinta, c’é il rischio di trasmissione dell’infezione al feto.
Il mio consiglio è quello di eseguire il test in un laboratorio di riferimento, in quanto c’è un’elevata possibilità di risultati falsi positivi per IgM.
Inoltre, le IgM possono permanere a lungo (un anno e oltre), anche se l’infezione è superata. Per questo motivo, nei casi in cui le IgM risultano positive, è importante richiedere il test di avidità delle IgG, in cui é possibile stabilire se l’infezione è pregressa, cioè è stata contratta da almeno 3-4 mesi (presenza di IgG più «mature», quindi ad alta avidità). Questo test permette di escludere un’infezione in corso o recente e di aumentare le probabilità di sospetto, pur non arrivando a un 100% di certezza.
È pericolosa se contratta in gravidanza?
La gestante non corre pericoli, ma la stessa cosa non si può dire per il feto, per il quale le forme congenite possono essere anche gravi (problemi al sistema nervoso e all’occhio, ritardo nella crescita o nello sviluppo mentale). La futura mamma può trasmettere l’infezione al suo bebé durante tutta la gravidanza (ma le probabilità aumentano con l’avanzare della gestazione). Se la trasmette al bambino nel primo trimestre, quando si sta completando lo sviluppo embrionale, gli effetti della malattia saranno peggiori (in termini di danni e di mortalità) rispetto a un’eventuale infezione in fase più tardiva.
Come viene rilevata la trasmissione dell’infezione al feto?
Un’ecografia potrebbe (ma non è detto) rilevare un’infezione fetale attraverso la presenza di alcuni segni come calcificazioni cerebrali o un allargamento dei ventricoli cerebrali. In caso di forte sospetto di trasmissione è consigliata l’amniocentesi, anche tardiva. Recentemente sono state introdotte metodiche di biologia molecolare (PCR) che permettono di valutare la presenza del Toxoplasma nel liquido amniotico e quindi l’infezione del feto.
Quali sono le indicazioni terapeutiche attuali?
Nella donna incinta con toxoplasmosi in atto (sia accertata che sospetta) si somministra, nel primo trimestre fino a metà del secondo, la spiramicina, mentre dal secondo trimestre alla fine della gestazione si usano pirimetamina e sulfadiazina (con acido folinico per ovviare a eventuali problemi al midollo osseo causati da questi farmaci).
Nel paziente immunocompromesso è indicata l’associazione di pirimetamina e sulfadiazina. Questa è la terapia standard anche per i pazienti non immunocompromessi, per esempio nel trattamento della corioretinite.
A chi bisogna rivolgersi per un percorso diagnostico-terapeutico adeguato?
A un buon Centro di Malattie Infettive o, in caso di sospetta infezione contratta in gravidanza, a un centro specializzato per le infezioni in gravidanza. All’Ospedale San Raffaele ci occupiamo di toxoplasmosi sia in persone immunocompetenti che immunocompromesse. All’Ospedale San Paolo sono specializzati nelle infezioni trasmesse in gravidanza. Anche Mangiagalli e Buzzi hanno una tradizione in questo senso. In ogni caso, attualmente la maggior parte delle ginecologie di grossi ospedali hanno affiancati centri di diagnostica prenatale.
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Attualmente non esiste un vaccino contro la toxoplasmosi: non è quindi possibile garantirne la prevenzione assoluta. Ci sono però una serie di comportamenti, soprattutto di ordine alimentare, che possono ridurre notevolmente il rischio di contagio:
È una delle maggiori preoccupazioni di una donna in gravidanza: la toxoplasmosi.
Spettro di futura malattia per il proprio bambino, il pericolo di contrarre questa malattia è spesso per le prossime mamme un’ossessione, che le spinge a comportamenti alimentari non necessari o scorretti.
È anche vero che attualmente esiste ancora molta confusione anche all’interno della stessa comunità scientifica sulla lista nera degli alimenti in gravidanza, quella cioè degli alimenti vietati o non consigliati perché considerati a rischio per lo sviluppo del feto (parliamo sempre, lo ripetiamo, di regole da applicare scrupolosamente in caso, cioè sprovvista di IgG).
Risultato: le gravide possiedono informazioni differenti e talvolta contrastanti sulle norme alimentari da seguire.
Peraltro da recenti ricerche è emerso che il Toxoplasma può essere presente in numerosi alimenti e che, nella maggior parte dei casi, non è dimostrabile una correlazione diretta tra i casi clinici e i cibi consumati.
Anche per quanto riguarda i metodi di conservazione degli alimenti (salagione, affumicatura, stagionatura) atti a inattivare il parassita, si rileva una scarsa univocità di indicazioni, a causa dell’esiguo numero di studi effettuati.
Infine, la sanità italiana non è ancora in grado di dare alle donne messaggi univoci per la carenza dati scientifici aggiornati sulla diffusione di Toxoplasma negli alimenti in commercio nella penisola.
Tenendo conto di quanto detto finora, allo stato attuale le indicazioni alimentari anti-toxoplasmosi considerate valide per le donne in gravidanza sono quelle indicate dai CDC (Centers for Disease Control and Prevention), a cui rimandiamo per informazioni più specifiche.
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L’infezione da Toxoplasma Gondii passa solitamente inosservata per la mancanza di sintomi che, quando presenti, si presentano in forma leggera e simil-influenzale e vengono quindi scambiati per una banale influenza stagionale.
Raramente, i sintomi di una toxoplasmosi in atto possono essere:
La diagnosi di toxoplasmosi si basa spesso esclusivamente su specifiche indagini di laboratorio, in quanto per la maggior parte dei casi l’infezione decorre in maniera asintomatica e non è quindi rilevabile sul paziente in sede di controllo medico. In caso di sintomi sospetti (per esempio febbre prolungata, anche non elevata) si consiglia di recarsi dal proprio medico curante che provvederà a visitare il paziente e a prescrivere lo specifico test per la toxoplasmosi (Toxo-test).
Le analisi prescritte (ricerca di immunoglobuline IgM e IgG con test in immunofluorescenza, emoagglutinazione, fissazione del complemento, ELISA), consentono di stabilire se la malattia è stata superata, se è in atto o se è stata contratta di recente, dati molto importanti soprattutto nel caso di una paziente in gravidanza (per stabilire la prognosi fetale).
Essendo infatti un’infezione molto pericolosa per lo sviluppo del feto, il toxo-test rientra nelle analisi di routine prescritte dai ginecologi nei primi mesi di gestazione (possibilmente entro l’ottava settimana). Ancora meglio sarebbe sottoporsi al test prima di intraprendere una gravidanza, per sapere se nel proprio siero sono presenti gli anticorpi per la toxoplasmosi e quindi se si è immuni dall’infezione oppure no.
Si tratta di un semplice esame del sangue e permette di classificare i soggetti in tre classi:
Febbricola, ghiandole ingrossate, stanchezza, malessere generale: dagli esami del sangue emerge che hai contratto la toxoplasmosi.
Se non sei incinta, non preoccuparti: la malattia è innocua e passa da sola. Non sono necessarie infatti terapie farmacologiche per debellare l’infezione, che ha una risoluzione spontanea.
L’unica cosa da fare è eseguire il toxo-test a intervalli regolari di tempo (concordati con il proprio medico curante), per verificare l’andamento degli anticorpi e quindi il regredire dell’infezione.
Discorso a parte merita la terapia in caso di infezione in gravidanza. Nel caso in cui una donna dovesse essere contagiata durante la gestazione, è infatti fondamentale bloccare la trasmissione dell'infezione al bambino attraverso un trattamento antibiotico mirato, la spiramicina, generalmente ben tollerato sia dalla madre sia dal feto. La terapia va eseguita fino alla fine della gravidanza.
La maggior parte dei protocolli in uso consigliano la sostituzione della spiramicina con l’associazione pirimetamina e sulfadiazina dalla metà del secondo semestre.
Questi farmaci non hanno effetti collaterali né per la gestante né per il feto e offrono un margine di protezione elevato, sempre che non si siano ancora prodotte malformazioni; in questo caso la legge protegge la donna consentendo l’aborto entro la 24esima settimana di gestazione.
La combinazione pirimetamina e sulfadiazina si è rivelata efficace nell’impedire la comparsa di postumi all’anno di vita: l’uso di questa combinazione è d’obbligo quando la trasmissione dell’infezione al feto sia dimostrata attraverso l’amniocentesi.
Nel caso in cui il trattamento non sia stato adeguato o sia iniziato troppo tardi, il bambino potrebbe avere una malattia grave già visibile alla nascita.
Questa terapia antibiotica viene in genere associata a un trattamento con acido folinico per prevenirne la tossicità midollare.
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Buone notizie per le appassionate di gatti che devono affrontare una gravidanza con un amico peloso in giro per casa. Infatti le future mamme non immuni dalla toxoplasmosi non devono necessariamente rinunciare alla compagnia del loro amico a quattro zampe: con qualche accorgimento possono convivere con il loro felino senza mettere a repentaglio la salute del bebè in arrivo.
I gatti sono ospiti definitivi del Toxoplasma Gondii (in loro si sviluppa lo stadio maturo del parassita). Si infettano ingerendo carne di animali infestati dal microorganismo, il quale poi si moltiplica nel loro intestino e produce oocisti, organismi espulsi con le feci e potenzialmente infettivi per l'uomo e altri animali.
La maggior parte dei gatti infetti non mostra segni clinici di malattia, tuttavia talvolta compaiono sonnolenza, depressione, inappetenza, febbre e difficoltà respiratorie. Relativamente alla terapia specifica della toxoplasmosi negli animali d’affezione (cane e gatto) è indicata l’associazione antibiotica spiramicina/metronidazolo: il trattamento deve iniziare al più presto e continuare anche dopo la scomparsa dei sintomi.
Per quanto riguarda la prevenzione, non esiste attualmente alcun vaccino contro la toxoplasmosi nel gatto, nell' uomo o in altre specie.
Alcuni recenti studi hanno evidenziato come, nonostante il gatto rivesta un importante ruolo nell’epidemiologia dell’infezione, non vi sia una correlazione statisticamente significativa tra la malattia e il possesso dell’animale (come invece è stato dimostrata la correlazione tra la patologia e l’ingestione di cibo e acqua infetti).
Inoltre è stato rilevato come difficilmente un gatto domestico, alimentato con prodotti in scatola e la cui lettiera è cambiata tutti i giorni, possa essere portatore del parassita, mentre un più probabile serbatoio di infezione è rappresentato dai gatti randagi, che si infettano cacciando uccelli e topi contaminati, e che possono defecare nel terreno rilasciando Toxoplasma anche per diverse settimane.
«Da un punto di vista epidemiologico i reali fattori di rischio per una donna in gravidanza sono costituiti dall’ingestione di carne cruda o poco cotta o vegetali contaminati con oocisti del parassita (quindi lavati male o per nulla), scarsa igiene personale (portare le mani sporche a contatto con le mucose orali od oculari) ed eventualmente contatto con animali forti eliminatori. Parlando di gatti quindi soltanto i randagi eliminatori. Il rischio legato alla convivenza con un gatto domestico è quindi di fatto, se non trascurabile, estremamente basso», conferma il dottor Rodolfo Colpo, veterinario di Milano.
In ogni caso, se sei incinta e possiedi un gatto comportati così: