Sanihelp.it – In tema di aborto, nel nostro Paese, la data che funge da spartiacque è il 1978. Prima di allora, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato (art. 545 e seguenti), punito con la reclusione da un minimo di sei mesi (per l’istigazione all’aborto) ad un massimo di 12 anni (aborto su minorenne non consenziente).
Di regolamentazione e legalizzazione dell’aborto, però, si discuteva già dal 1975, quando l’allora segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, la segretaria del CISA (Centro Informazioni Sterilizzazione Aborto) Adele Faccio e la militante radicale Emma Bonino vennero arrestati dopo essersi autodenunciati per aver praticato aborti.
Sempre nel 1975, una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’Espresso, presentò alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2° Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale. Cominciava in questo modo la raccolta firme (circa 700 mila), promossa dal Partito Radicale e dal Movimento di liberazione della donna insieme alla Lega XIII Maggio, a L’Espresso, Lotta continua, Avanguardia operaia e PdUP-Manifesto, che il 15 aprile del 1976 portò il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, a fissare con un decreto la prima data per la consultazione referendaria. Ma quindici giorni dopo furono sciolte le Camere.
L’atmosfera politica era decisamente surriscaldata, complice l’esperienza del referendum sul divorzio dell’anno precedente e il solenne no della chiesa ribadito il 18 novembre 1974 dalla Dichiarazione sull’aborto procurato della Congregazione per la Dottrina della Fede. In più, una sentenza della Corte Costituzionale, la n.27 del 18 febbraio 1975, consentiva il ricorso alla IVG per motivi molto gravi pur ritendendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale.
Il bisogno di adeguare la normativa si tradusse con una serie di proposte di legge, coordinate dai parlamentari della Sinistra indipendente, che diedero vita, dopo un iter contrastatissimo, alla legge n.194 del 22 maggio 1978, votata con 160 voti contro 148, con la quale sono venuti a cadere i reati previsti dal titolo X del libro II del codice penale con l’abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle norme di cui alle lettere b) ed f) dell’articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie.
Il 17 maggio 1981 il popolo italiano è stato chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di abrogazione di questa legge, con una consultazione referendaria passata alla storia. Vinsero i no, con la percentuale schiacciante del 68%.