Sanihelp.it – «Soffro da tempo di ragadi anali. Ho provato di tutto ma il disturbo continua a essere molto doloroso. Cosa posso fare?» Pietro.
Risponde il professor Mario Pescatori, Coordinatore della Unità di Colonproctologia della Clinica Ars Medica di Roma.
Seconda causa di visita specialistica proctologica dopo la patologia emorroidaria, le ragadi anali sono piccole fissurazioni longitudinali o vere e proprie ulcere che si formano nel rivestimento cutaneo del canale anale. Il problema principale di chi ne soffre è il dolore, spesso molto forte e a volte quasi insopportabile, con una compromissione piuttosto frequente anche delle normali funzioni fisiologiche.
Per intensità e regolarità di comparsa il dolore provocato dalla ragade non è eguagliato da alcuna altra patologia anale: i pazienti descrivono la sensazione provata come il passaggio di pezzi di vetro durante l’evacuazione.
Se trascurata, la malattia può creare complicazioni e dar luogo a infezioni. Ecco perché, per chi soffre di questo problema, è consigliabile consultare subito il medico, senza aspettare che la lesione si cronicizzi e il ricorso all'intervento chirurgico diventi quasi inevitabile, con la sua sequela di effetti collaterali come l'incontinenza, che affligge un terzo dei casi operati.
Le Linee Guida internazionali raccomandano di iniziare la terapia di questa patologia con il trattamento farmacologico. A meno che la ragade non sia cronica e callosa, è consigliabile ricorrere al trattamento con trinitroglicerina e calcioantagonisti, riservando il trattamento chirurgico solo in assenza di risposta significativa dopo sei settimane. Il primo obiettivo è, cioè, riuscire a curare con una terapia medica lo spasmo sfinterico indotto dalle ragadi.
I farmaci disponibili fino a qualche tempo fa erano solo in parte efficaci. Anzi, alcune preparazioni tuttora utilizzate possono addirittura rivelarsi controproducenti, perché contengono anestetici locali e per questa ragione non possono essere usati per tutti il tempo che sarebbe necessario.
Un trattamento conservativo è l’iniezione di tossina botulinica A nello sfintere interno, efficace nel 66% dei casi a tre anni. La terapia è ripetibile ma costosa, raramente può dare incontinenza fecale o sepsi locale.
Per studiare i vantaggi di una valida alternativa, una recente ricerca italiana ha verificato l'effetto a lungo termine di un nuovo preparato a base di trinitroglicerina allo 0,4%, che consente di effettuare una terapia protratta attraverso un duplice effetto miorilassante e vasodilatatore con una nuova formula a maggior durata d’azione.
I risultati del trattamento con pomata a base di trinitroglicerina allo 0,4% sul miglioramento della qualità di vita in seguito all’impiego della trinitroglicerina sono positivi, anche se non mancano le recidive. Il paziente può avere cefalea ma è raro che per questo debba sospendere la cura. Il trattamento è controindicato per chi ha ipotensione arteriosa o è in trattamento con farmaci vasodilatatori.
Rispetto ad altri farmaci, la trinitroglicerina è il più studiato e quello con più articoli in letteratura e di cui meglio si conoscono i risultati a distanza, per cui lo usiamo spesso nella nostra pratica clinica. Per conseguire i benefici del trattamento (la guarigione o quanto meno la riduzione significativa del dolore) la terapia con pomata alla nitroglicerina allo 0,4% deve essere protratta per sei settimane.