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RU486: l’alternativa che mancava

Sanihelp.it – Qualcuno l’ha salutato come un grande giorno per le donne, seppur con 20 anni di ritardo. Qualcun altro ha gridato all’istigazione all’aborto facile.
Fatto sta che il 26 febbraio scorso entrerà nella storia, almeno quella con la S minuscola, come la data in cui la commissione tecnico-scientifica dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, ha dato l’ok alla richiesta di autorizzazione al commercio per la RU486, la celebre e assai discussa pillola abortiva. 


Si tratta solo del primo step per l’introduzione in Italia di un farmaco che, diffuso da anni nella maggior parte dei Paesi occidentali, da noi fino a oggi è entrato solo in via sperimentale, in pochissime cliniche, e con il solito strascico di polemiche (celebre il caso del sant’Anna di Torino). 

L’iter di legalizzazione della RU486 è stato avviato a fine novembre dalla casa farmaceutica produttrice, la francese Exelgyn, attraverso la procedura detta di mutuo riconoscimento a seguito delle verifiche scientifiche compiute dall’Emea, l’Ente europeo che regola la commercializzazione dei farmaci.
Da qui alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale dovrebbero passare circa tre mesi, ma sono già note le restrizioni sull’utilizzo della pillola abortiva indicate dal Ministero della Salute nel quadro della legge 194. La RU486 non potrà essere commercializzata in farmacia, ma somministrata esclusivamente in ospedale, da medici e infermieri dei reparti di ginecologia. 

La terapia, secondo la prassi ormai assodata, dura tre giorni. Durante il primo, la RU486 (principio attivo mefiprestone) viene somministrata alla donna già autorizzata all’interruzione volontaria di gravidanza. Quindi, trascorsi due giorni, viene indotta l’espulsione del feto mediante la somministrazione di un altro principio attivo, il gemeprost, già autorizzato in Italia. Resta invece ancora privo di autorizzazione a scopo ginecologico il misoprostolo, appartenente alla stessa famiglia del gemeprost, le prostaglandine

Va ricordato che, allo stato attuale, in Italia l’IVG viene praticata solo con intervento chirurgico (raschiamento). La RU486, inventata dal francese Etienne-Emile Baulieu e presenta all’Accademia delle scienze il 19 aprile 1982, è stata commercializzata per la prima volta in Francia nel 1988, seguita da Gran Bretagna (1991), Svezia (1992), Stati Uniti (1994), Svizzera (1999). Nell’aprile dello stesso anni la Exelgyn ha avviato le procedure per le autorizzazioni di immissione sul mercato europeo, raggiungendo in totale 21 Paesi.
Il vantaggio nell’utilizzo della RU486 per le Ivg appare chiaro: eliminare l’intervento chirurgico. Un vantaggio che, oltre all’invasività, riguarda anche i costi della pratica abortiva
Ecco l’esempio fornito dall’Aduc, associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori: 

«Prendiamo a modello la Regione Toscana: il prezzo omnicomprensivo dell’aborto chirurgico, rappresentante il valore complessivo di intervento e degenza, è di 800 euro (non c’è un dettaglio delle voci, almeno nel servizio pubblico). In Belgio il prezzo della confezione di RU486 (tre compresse da 200mg) è di circa 70 euro, lo stesso in Spagna. Se andiamo in una clinica statunitense, per un’interruzione di gravidanza (visite, test ed esami compresi) si spende una cifra che può oscillare tra i 200 e i 350 dollari. Non possiamo certo stabilire in anticipo i costi della RU486 in Italia, ma, trattandosi di intervento ambulatoriale, dobbiamo detrarre quelli della degenza di almeno un giorno e della sala operatoria».

Un altro tema caldo relativo alla RU486 è quello delle controindicazioni. Anche l’aborto farmacologico, infatti, non è totalmente esente da rischi. 
Questa la casistica fornita dalla USPDA, l’Unione svizzera per la decriminalizzazione dell’aborto: «Ci possono essere rare complicazioni e sono stati ergistrati 12 casi mortali in Europa e in America Settentrionale su 1,6 milioni di IVG realizzate con questo metodo. Solo due di questi decessi (dovuti a emorragie non trattate), possono in modo definitivo essere attribuiti direttamente alla RU486, secondo le autorità sanitarie. Un caso fu causato in Francia nel 1991 dalla prostaglandina Nalador (che non viene più usata). Cinque casi (quattro negli Stati Uniti, uno nel Canada) accaddero in seguito a una infezione grave col batterio rarissimo clostridium sordellii. Per due decessi, la causa non si conosce. Due altre morti in seguito a un aborto farmacologico non avevano nulla a che fare con la RU 486: una fu la conseguenza di una gravidanza extrauterina non trattata, un altra fu provocata da una overdose di metadone».

In sostanza, dunque, la mortalità dell’IVG con la RU486 è di circa 0,6 casi su 100.000 e corrisponde a quella dell’intervento chirurgico nel primo trimestre. I sostenitori del metodo sottolineano che il parto, con una mortalità intorno ai 5 casi su 100’000, è tra le 8 e le 10 volte più rischioso.

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