Sanihelp.it – Non invasivi e immediati. Sono i nuovi test che permettono di diagnosticare, con un esame del sangue, la fibrosi epatica, spia delle principali malattie del fegato, evitando le fastidiose conseguenze della biopsia (da quelle minori – fino al 30% dei casi riferisce dolore – a quelle più severe, inclusa la morte in circa lo 0,03% dei casi).
La procedura è semplice: il paziente esegue un prelievo del sangue in un laboratorio biomedico, i dati vengono inseriti dal biologo sul sito internet www.biopredictive.com, i risultati vengono generati immediatamente e comunicati all’epatologo che ha prescritto il test.
«Il nostro centro – spiega Giada Sebastiani dell’Unità di Gastroenterologia ed Epatologia dell’ospedale Umberto I di Venezia – ha condotto, in collaborazione con l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare e con l’Università di Padova, uno studio su oltre 2000 pazienti con epatite C. Grazie ai nuovi test abbiamo evitato una percentuale significativa di biopsie epatiche: dal 50 al 70% dei casi. I vantaggi per i pazienti sono evidenti: non subiscono più la procedura invasiva ed evitano la giornata di ospedalizzazione. Non solo. Se una biopsia epatica costa fino a 700 euro, il marcatore sierico indiretto si aggira intorno ai 100 euro. Il risparmio economico è dunque enorme».
Ma quanto sono affidabili queste procedure? «Fibrotest – continua la gastroenterologa – è sicuramente il biomarcatore non invasivo più validato. L’accuratezza diagnostica rispetto alla biopsia epatica è stata accertata da una serie di studi indipendenti».
Le malattie del fegato sono patologie con un’elevata incidenza tra la popolazione dei Paesi occidentali. I numeri sono allarmanti. Nel nostro Paese si registrano ogni ora due decessi dovuti a malattie croniche del fegato, oltre 20.000 l’anno. Sono 58.000 i casi di cirrosi diagnosticati ogni anno e il carcinoma epatico, che spesso ne deriva, è causa di morte nel 3% della popolazione.
Senza dimenticare la steatosi, o fegato grasso, che interessa il 25% della popolazione ed è una sorta di spia di iniziale sofferenza del fegato, che in presenza di cofattori del danno epatico può evolvere in steatoepatite, una forma di infiammazione del fegato associata alla presenza di grasso.
«È importante – continua Sebastiani – che le autorità politiche si rendano conto dell’impatto sociale di queste malattie e intervengano. In Francia i biomarcatori non invasivi sono utilizzati da più di tre anni e sono stati approvati dal Ministero della Salute. In Italia invece stiamo ancora cercando di implementarli nella pratica clinica e di ottenerne la rimborsabilità».