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Farmaci biologici: positivi nell’artrite reumatoide

Sanihelp.it – Uno studio coordinato dalla dott.ssa Maria Manara, reumatologa dell’ASST Gaetano Pini-CTO, insieme con il prof. Roberto Caporali, Direttore del Dipartimento di Reumatologia dell’ASST Gaetano Pini-CTO ha evidenziato come l’uso dei farmaci biologici da parte dei pazienti affetti da artrite reumatoide ha evidenziato significativi miglioramenti della loro  workability.


L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica articolare, potenzialmente invalidante.

Tale patologia può condizionare in modo severo la vita dei pazienti per l’impatto del dolore e

della disabilità sulle attività quotidiane e per le possibili ripercussioni sulla vita di relazione e

lavorativa.

Il paziente affetto da artrite reumatoide, infatti, è frequentemente costretto ad

assentarsi dal lavoro a causa della malattia (assenteismo) o può constatare una ridotta

produttività, quando al lavoro (presentismo).

I farmaci biologici contengono una o più sostanze attive derivate da una fonte biologica o che sono ottenuti attraverso un processo biologico – hanno una maggiore specificità dei farmaci ‘tradizionali’ nell’inibire i mediatori responsabili del processo infiammatorio e consentono il raggiungimento di un buon controllo della malattia o addirittura della remissione anche nei pazienti che non rispondono alle terapie standard.

Lo studio in questione di tipo osservazionale prospettico multicentrico ha arruolato 100 pazienti con artrite reumatoide in età lavorativa con una malattia attiva che hanno iniziato nello stesso periodo la terapia con farmaci biologici.

I pazienti hanno dai 18 ai 65 anni di cui l’85% donne; l’età media è di 49 anni.

Più della metà dei soggetti inclusi (55%) svolge un’attività lavorativa remunerata; un quarto dei pazienti invece sono casalinghe. Fra i rimanenti, vi sono studenti, pensionati o inabili al lavoro.

«L’inclusione nello studio di soggetti non occupati, ovvero che non svolgono un’attività lavorativa remunerata – spiega la reumatologa dell’ASST Gaetano Pini-CTO –, ha permesso di valutare anche un aspetto spesso sottostimato da studi di questo tipo, ma importante per la vita del singolo paziente: l’impatto dell’artrite sulla capacità lavorativa domestica e sulle attività sociali. Si pensa inoltre che solo la riduzione della workability nei soggetti occupati abbia un risvolto economico, mentre anche la perdita della capacità lavorativa in ambito domestico può avere un impatto in tale ambito che può essere per esempio misurato come numero di ore in cui si è reso necessario ricorrere a un aiuto esterno per svolgere le attività necessarie per la vita quotidiana».

Nello studio la perdita di produttività lavorativa è stata misurata, per i soggetti occupati, come numero di giorni in cui il paziente è stato assente dal lavoro (assenteismo) o ha avuto una riduzione della produttività al lavoro superiore al 50% (presentismo) nel mese precedente.

Per tutti i soggetti inclusi, inoltre, sono stati calcolati i giorni nei quali il paziente non era in grado di svolgere le attività domestiche o ha constato una ridotta produttività nel lavoro domestico, così come il numero di giorni in cui le attività sociali erano state impedite dalla malattia, nel mese precedente.

Questi parametri sono stati testati nei pazienti con artrite reumatoide prima dell’inizio della terapia con farmaci biologici e dopo 6 e 12 mesi di terapia, mostrando un significativo miglioramento di tutti gli indicatori di produttività lavorativa in seguito al trattamento.  

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