Sanihelp.it – Non sempre è facile capire quando alcuni sintomi, come la febbre, sono indice di un’emergenza medica e quando, invece, sono solo una normale reazione del fisico a un virus o a un semplice colpo di freddo.
La febbre è un aumento della temperatura corporea al di sopra dei valori medi normali (37°C se esterna o 37,5° se interna) e varia, anche se di pochi decimi di grado, da persona a persona e durante l’arco della giornata.
La temperatura può aumentare in condizioni particolari – sforzi fisici, assunzioni di pasti o bevande calde o quando l’ambiente è troppo riscaldato – e per questo va misurata quando il bambino è a riposo da qualche ora, in un ambiente non troppo riscaldato, ma non quando il piccolo si è appena svegliato ed è ancora coperto; questo, infatti, potrebbe portare a un aumento della temperatura che non corrisponde a una reale febbre.
Una volta esclusi i fattori esterni, la temperatura più elevata del normale, ossia la febbre, è indicativa di una condizione di malattia e quasi sempre è l’espressione di una reazione protettiva dell’organismo che cerca di rispondere alla presenza di agenti infettivi.
«In primavera – dichiara la professoressa Susanna Esposito, Presidente SITIP (Società italiana di infettivologia pediatrica) e direttore della UOC Pediatria 1 Clinica presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – i rhinovirus e gli enterovirus, che causano prevalentemente infezioni respiratorie di diversa gravità, sono ancora piuttosto diffusi e gli sbalzi termici, tipici di questa stagione, ne favoriscono la trasmissione. In queste situazioni la febbre è frequente e non deve preoccupare».
In alcuni casi, però, l’innalzamento eccessivo e persistente della temperatura va riconosciuto come un’emergenza da affrontare e risolvere quanto prima: nei neonati e nei lattanti con età inferiore ai 3 mesi di vita, per i quali è consigliabile un immediato ricovero per l’elevato rischio di patologia batterica grave, oppure in presenza di sintomi concomitanti quali rigidità nucale o alterazioni dello stato di coscienza, difficoltà respiratoria, difficoltà a bere e/o ad alimentarsi, significativa perdita di peso.
Inoltre, in presenza di temperature anche modeste per una durata superiore ai 7 giorni è consigliabile il ricorso al pediatra per un approfondimento diagnostico.
Per trattare la febbre uno tra i primi accorgimenti da prendere è quello di far stare il piccolo in una stanza adeguatamente riscaldata (20-22° circa) senza coprirlo troppo, così da consentire al corpo di disperdere il calore in eccesso. Un’adeguata idratazione con bevande zuccherate e addizionate di sali minerali consentirà di integrare la perdita di liquidi, dovuta all’aumento della temperatura corporea, e faciliterà la discesa della stessa, riducendo anche la comparsa di crisi acetonemiche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fornito alcune linea guida in caso di temperatura uguale o superiore a 39°, associata a un quadro di malessere generale: è utile la somministrazione dell’antipiretico, mentre ne è sconsigliato l’uso in caso di temperatura inferiore; infatti la febbre ha effetti benefici e fa parte dei fisiologici meccanismi di difesa dell’organismo agli agenti infettivi.
Gli unici antipiretici raccomandati in età pediatrica sono paracetamolo e ibuprofene, da somministrare sotto prescrizione medica per un corretto dosaggio in base al peso del bambino.
In passato, in associazione all’antipiretico, venivano consigliati alcuni accorgimenti per facilitare la discesa della temperatura, tra i metodi più diffusi: la spugnatura con liquidi tiepidi, il bagno, l’esposizione a correnti d’aria fresca, il raffreddamento delle coperte, l’uso di clisteri freddi, l’applicazione di borse del ghiaccio e la frizione della cute con alcol.
In realtà, gli studi effettuati non hanno dimostrato una reale efficacia di tali metodi, riportando, alcune volte, i gravi effetti della brusca riduzione della temperatura: aumento della febbre, brivido scuotente prolungato e ipoglicemia profonda.
Ma come si misura la febbre? Fino al 2010 i termometri utilizzati per misurare la febbre nelle tre sedi tradizionali (ascella, retto e bocca) erano di vetro e contenevano mercurio che, essendo tossico e difficile da smaltire, ne ha determinato il ritiro dal commercio. Attualmente vengono utilizzati termometri con una lega di gallio, indio e stagno e quelli elettronici.
A lungo la misurazione rettale è stata considerata la migliore; oggi, invece, per evitare complicanze e inesattezze si raccomanda la misurazione per via ascellare, tramite termometro elettronico, nei neonati, nei lattanti e nei bambini.
Sconsigliata è anche la misurazione per via orale che, oltre a essere difficile in caso di scarsa collaborazione del piccolo, richiede una permanenza dello strumento in sede di almeno 4 minuti ed è ampiamente influenzata da variabili confondenti, quali infezioni della bocca, assunzioni di cibi caldi/freddi, temperatura dell’aria inspirata e frequenza respiratoria.