Sanihelp.it – La diossina negli alimenti sulla tavola? Un problema non nuovo, e non solo italiano.
A rinfrescarci la memoria è Altroconsumo, che ripercorre in una nota la storia recente degli allarmi alimentari: dal caso dei mangimi animali contaminati da diossina in Belgio nel 1999 (allora il Ministero della Salute vietò l’introduzione sul nostro territorio di animali vivi della specie suina e delle carni e prodotti a base di carne suina provenienti dal Belgio), al caso che nel marzo 2003 coinvolse dodici aziende nel Casertano, e 5.720 capi tra bufale, bovini e caprini, in un’inchiesta sulla presenza di diossina nella produzione.
«Questi avvenimenti testimoniano due fatti – commenta Altroconsumo – Primo, il blocco cautelativo alle frontiere e il sequestro degli alimenti già sul mercato, quando vi siano sospetti di contaminazione e di pericolo per la salute è una misura necessaria e fondamentale per la tutela della salute dei consumatori, che avvenga in Giappone, in Corea, in Svizzera o in Italia. Secondo, il problema della contaminazione da diossina non nasce oggi, non è solo italiano e non è figlio – legittimo – dell’emergenza rifiuti di questi ultimi mesi».
Se il settore della produzione della mozzarella e del latte di bufala vuole essere tutelato da congetture o allarmismi, prosegue l’associazione, si giochi la carta della totale trasparenza, non solo verso le istituzioni europee e i Paesi importatori, ma verso i consumatori e l’opinione pubblica: «nomi e cognomi di chi ha infranto la legge consultabili sul sito del ministero della Salute; prodotti individuabili da ritirare dal mercato – e se si hanno a casa, da non consumare; campagna d’informazione non ispirata ai luoghi comuni del mangiare italiano è buono e bello ma che riporti i fatti e che restituisca credibilità a chi fa i controlli e investe per garantire la qualità e la salubrità dei prodotti».
Altroconsumo si chiede infine «perché il sistema di allerta rapido europeo, il RASFF, non sia stato attivato dal nostro ministero della Salute nel momento in cui ha saputo dell’esistenza di prodotti contaminati. In questi casi l’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare dovrebbe svolgere un’attività sistematica di comunicazione sui rischi alimentari».