Sanihelp.it – Cresce il numero di bambini colpiti da allergia da proteina del latte vaccino (PLV): circa il 3% con meno di un anno di vita e neonati allattati al seno, a causa del passaggio delle sostanze nocive dalla dieta della mamma al latte.
Sono i dati diffusi da Paidòss (l’Osservatorio Nazionale sulla Salute dell’Infanzia e dell’Adolescenza) in occasione del 2nd International Conference and Exhibition on Probiotics & Functional Foods di Orlando (Florida, USA). Spesso sottovalutate o misconosciute per la variabilità della sintomatologia (che può interessare più distretti), o per le manifestazioni assimilabili anche ad altre cause, le allergie da proteine da latte vaccino (che, non sottoposte a processo di idrolizzazione, sono contenute non solo nello stesso latte ma anche latte artificiale in polvere e in altri prodotti simili) possono avere invece esiti anche importanti e pericolosi.
Si va dai ricorrenti disturbi gastrointestinali con vomito, rigurgito e dolori addominali, a episodi che coinvolgono le vie aeree con tosse insistente, secrezione nasale e difficoltà respiratorie, fino a reazioni cutanee con eczemi, orticarie, angioedemi (edema delle labbra o delle palpebre) e, nei casi più gravi, arrivare allo shock anafilattico. Implicazioni che richiedono fin da subito un corretto approccio clinico e laboratoristico con test per le IgE specifiche o un prick test cutaneo con latte vaccino naturale o con formula proteica, per definire con certezza il tipo di allergia e impostare la terapia giusta.
La rigorosa esclusione delle PLV rimane tuttora la strategia di trattamento più sicura (è necessario togliere anche i formaggi, i dolci e i gelati; ma non è necessario togliere gli alimenti che contengono lattosio perché non è una proteina ma uno zucchero), affiancata, in caso di diagnosi certa, dall’impiego di una formula sostitutiva (ENS) con idrolizzati di caseina o di proteine del siero, in relazione all’età del bambino e all’eventuale presenza di altre allergie alimentari.
La dietoterapia, al fine di risolvere gli episodi di rigurgito ed evitare le intolleranze secondarie, prevede anche l'introduzione di una miscela di carboidrati a base di maltodestrine altamente digeribili.
La dieta di esclusione con l’impiego di una formula terapeutica che va scelta anche in base al residuo potenziale allergenico, alla composizione della formula, ai costi, alla disponibilità, al gradimento del bambino e all’efficacia, è indicata almeno per 6 mesi o fino all’età di 9-12 mesi. I bambini con reazioni immediate gravi, IgE mediate, devono rimanere in dieta di esclusione per 12 o anche 18 mesi prima di riprendere un’alimentazione normale previa ripetizione del test per le IgE specifiche.
L’allergia a questo alimento guarisce, ma affinché possa risolversi – sottolineano gli esperti – è necessario trattarla nel modo giusto. E trattarla bene significa far soffrire meno i bambini per due motivi: chi segue una dieta senza latte può andare incontro a gravi carenze nutrizionali; chi guarisce più rapidamente avrà meno possibilità di sviluppare asma.
E se negli USA si utilizza il latte di soia come sostituto, in Europa si ricorre principalmente agli idrolisati di latte. In Italia va per la maggiore l’idrolisato di riso; in Arabia il latte di cammella. Per dare un indirizzo comune, l’Organizzazione Mondiale dell’Allergia (WAO) ha preso l’iniziativa di linee guida globali sull’allergia al latte: in uso da 2 anni, già si prevede la data della loro revisione, il 2015.
Nel frattempo, gruppi di ricercatori sono all’opera per fornire le migliori opportunità a questi bambini. Per esempio, l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e l'Università La Sapienza stanno sperimentando una nuova formula idrolisata di proteine del latte che potrebbe offrire sensibili vantaggi.