Sanihelp.it – Se è vero che la dieta mediterranea fa bene al cuore, riducendo i rischi di malattie cardiovascolari, stando a un recente studio italiano sarebbe altrettanto vero che ciò vale solo per gli individui appartenenti alle classi sociali economicamente più abbienti.
È quanto emerso da una ricerca effettuata dall’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico IRCCS Neuromed su oltre 18mila persone adulte reclutate nell’ambito di Moli-sani: uno studio iniziato in Molise, nel 2005, con l’obiettivo di verificare i fattori genetici e ambientali correlati a malattie quali tumori e patologie cardiovascolari.
I ricercatori dell’istituto Neuromed sostengono dunque di aver potuto constatare che, a parità di adesione alla Dieta mediterranea, avviene una riduzione del rischio di patologie cardiovascolari solo nelle persone che hanno un livello di istruzione elevato e in chi ha un reddito familiare più consistente; mentre nessun beneficio significativo si può riscontrare nelle classi sociali più deboli. Si tratta così del primo studio – i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica International Journal of Epidemiology – in grado di documentare una relazione tra dieta mediterranea, istruzione e reddito.
Gli scienziati hanno anche cercato di capire come mai una persona con un basso livello socioeconomico che si sforzi di seguire un modello alimentare mediterraneo non ottenga gli stessi benefici di una persona con reddito più elevato, nonostante entrambi aderiscano in maniera simile alla stessa dieta sana. La risposta che si sono dati è che le disparità socieconomiche spingerebbero i soggetti meno abbienti ad acquistare alimenti di scarsa qualità e con un valore nutrizionale molto basso; cosicché, nonostante si tratti comunque di ingredienti appartenenti alla dieta meditteranea, essi non possono apportare benefici apprezzabili. Ad esempio, si è constatato che le persone appartenenti alle classi sociali più elevate hanno consumato prodotti più ricchi di antiossidanti e polifenoli e hanno mostrato una maggiore diversità di scelta di frutta e verdura; inoltre, si sono riscontrate differenze socioeconomiche anche per quanto riguarda il consumo di prodotti integrali e i metodi di cottura degli alimenti.
La conclusione che si può trarre, e sulla quale sarebbe opportuno riflettere, è che la qualità degli alimenti utilizzati nell’ambito di una particolare dieta è più importante, o almeno tanto quanto, la frequenza del consumo; sarebbe necessario, dunque, che le istituzioni si facessero carico del problema, impegnandosi a ridurre lo svantaggio sociale che sta alla base di cattivi comportamenti nell’ambito delle scelte alimentari.