Rene policistico
La malattia è anche conosciuta come:
malattia del rene policistico, malattia policistica autosomica dominante, malattia policistica renale, policistosi renale, sindrome del rene policistico
Il rene policistico è una delle malattie genetiche più comuni e si caratterizza per la formazione di cisti nei reni.
Categoria: Malattie urologiche
Sigla: ADPKD
Che cos’è – Rene policistico
Rene policistico: la più frequente nefropatia genetica
Il rene policistico o malattia policistica autosomica dominante (autosomal dominant polycystic kidney disease, ADPKD) è la più frequente nefropatia genetica, caratterizzata dallo sviluppo di cisti bilaterali, che si espandono per numero e dimensione durante tutta la vita dell’individuo. L’aumento di volume delle cisti comprime il tessuto renale, fino a sostituirlo, causando in questo modo la perdita di funzionalità dell’organo in circa la metà dei pazienti.
La malattia ha generalmente un esordio tardivo ed è una delle patologie genetiche più comuni. La sua prevalenza va da 1 persona su 400 a 1 su 1.000: parliamo, quindi di circa dodici milioni di pazienti affetti nel mondo di cui 60.000 solo in Italia.
Oltre alla forma dominante esiste, poi, una forma recessiva della patologia (autosomal recessive polycystic kidney disease, ARPKD), più rara ma anche più aggressiva, che colpisce i soggetti in età pediatrica e che spesso risulta fatale nel primo mese di vita. Il National Institutes of Health (NIH) negli Stati Uniti stima che da 1 su 10,000 a 1 su 40,000 neonati hanno una malattia da rene policistico nella forma recessiva.
Nel rene policistico autosomico dominante la causa è nell’85% dei casi una mutazione del gene PKD1 (cromosoma 16) e nel restante 15% del gene PKD2 (cromosoma 4). Quest’ultima forma, rispetto alla prima ha un’evoluzione più lenta.
La malattia è sistemica perchè oltre al rene possono essere colpiti altri organi, come fegato e pancreas. Anche il sistema cardiovascolare può essere interessato in questa patologia, con l’insorgere di ipertensione e di aneurismi.La caratteristica principale del rene policistico autosomico dominante è la formazione di cisti in entrambi i reni. Quando si formano molte cisti, i reni possono arrivare a pesare anche fino a 14 chili (la grandezza di un rene normale è uguale a un pugno umano). Le cisti sono cavità contenenti un fluido che oltre a provocare l’ingrossamento del rene, possono impedire anche la capacità di filtrare dell’organo stesso. Inoltre le cisti, comprimendo i vasi sanguigni, causano ipertensione arteriosa (presente in circa il 50% di pazienti con ADPKD tra i 20 e i 34 anni).
Il rene policistico autosomico dominante è una malattia sistemica, perché le cisti possono estendersi contemporaneamente ad altri organi come fegato (presenti nel 50-70% dei pazienti, soprattutto donne) e pancreas. Una diretta conseguenza della patologia può essere anche il coinvolgimento del sistema cardiovascolare, con l’insorgere di ipertensione e di aneurismi cerebrali che si manifestano nel 5-10% dei pazienti asintomatici, con rischio di danno neurologico permanente o morte per emorragia sub-aracnoidea. Altre anomalie extrarenali associate ad ADPKD sono la diverticolosi del colon (16%) e il prolasso della valvola mitrale (25-30%).
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Una malattia ereditaria
L’ADPKD è una malattia geneticamente eterogenea. Può essere causata da mutazioni in due geni (PKD1 e PKD2), le cui mutazioni possono provocare forme della malattia non distinguibili fra loro, anche se sembra che la forma ADPKD2 sia leggermente meno grave rispetto ad ADPKD1. Il gene PKD1, mutato in circa l’85% dei pazienti, si trova sul cromosoma16. Il gene PKD2, localizzato sul cromosoma 4, risulta mutato nel rimanente 15% circa dei pazienti.
Trattandosi di una malattia ereditaria, la forma dominante della malattia (ADPKD) viene trasmessa da una generazione all’altra, anche se solo un genitore ne è affetto. Ogni figlio di un genitore portatore di ADPKD ha una probabilità del 50% di ereditare la patologia. Essendo il gene dell’APDKD dominante, è sufficiente una sola copia del gene malfunzionante, trasmesso dalla madre o dal padre per causare la malattia, che colpisce nella stessa misura uomini e donne, senza distinzione di età, razza o etnia.
Il rene policistico non tralascia alcuna generazione. Tuttavia, i sintomi e la progressione della malattia non colpiscono ogni soggetto nello stesso modo.
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Sintomi – Rene policistico
I sintomi con cui si manifesta
Il rene policistico è una malattia a esordio tardivo: in genere i primi segni clinici, rappresentati da dolori lombari, micro o macroematuria (presenza di sangue nelle urine) e comparsa di ipertensione arteriosa, si manifestano tra i 40 e i 50 anni di età. Spesso la malattia resta silente per molti anni, per poi manifestarsi a livello renale ed extrarenale.
Non mancano però casi di rene policistico fin dalla primissima infanzia.
Nei reni il progressivo sviluppo e la crescita delle cisti sostituisce il normale tessuto provocando: insufficienza renaleipertensione arteriosa, micro o macro ematuria (presenza di sangue nelle urine); problemi di cuore o apoplessie cerebrali; difetto di concentrazione delle urine (frequente già a uno stadio iniziale); dolore lombare; nefrolitiasi. Possono manifestarsi anche sintomi extra-renali dovuti alla presenza di cisti nel fegato.
L’età d’insorgenza della malattia, la gravità e il decorso clinico sono molto variabili da paziente a paziente, per questo motivo si ritiene che, oltre a fattori genetici, siano implicati anche fattori ambientali.
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Diagnosi – Rene policistico
Come si effettua la diagnosi?
La diagnosi è facile da stabilire in pazienti con storia familiare di malattia policistica. Nelle fasi avanzate, alla semplice palpazione si possono apprezzare i reni policistici come grosse masse a superficie nodulare, di consistenza fibrosa, così anche il fegato.
La diagnosi si basa principalmente sugli esami di imaging renale, come l'ecografia, capace di evidenziare, a partire dai vent'anni d'età, la presenza di più cisti, unilaterali o bilaterali. Questo esame, eseguito per accertare, a volte, la causa di un’ematuria, un dolore lombare, infezioni urinarie ricorrenti o per lo studio iniziale dell’ipertensione arteriosa, consente di evidenziare agevolmente questa patologia.
Altre indagini più approfondite, quali urografia, tomografia computerizzata, scintigrafia renale, permettono di acquisire ulteriori informazioni ed escludere patologie cistiche renali di altro tipo (dilatazione della via urinaria, cisti renali semplici solitarie o multiple, tumori renali di tipo cistico).
Gli esami ematici di laboratorio e delle urine permettono, poi, di evidenziare e controllare nel tempo la progressione verso l’insufficienza renale.
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Cura e Terapia – Rene policistico
Ricerche in corso
Anche se sono in corso numerosi studi clinici per la messa a punto di farmaci contro l’ADPKD, non esiste ancora alcuna cura disponibile che ne rallenti o arresti la progressione. La comunità medico-scientifica sta, infatti, cercando di individuare nuovi rimedi terapeutici che possano aiutare a ritardare la crescita delle cisti oltre a studiare strategie per controllare lo sviluppo della patologia e delle complicanze correlate.
È in fase di studio avanzato l'impiego di una nuova molecola, tolvaptan, un antagonista del recettore della vasopressina, inibitore della proliferazione cellulare, che potrebbe inibire o ritardare la secrezione intracistica. Si tratta di una molecola in fase di sviluppo clinico come trattamento volto a rallentare l’avanzamento della malattia in pazienti affetti da APKD ad alto rischio di rapida progressione. Tolvaptan è studiato in pazienti con reni ingrossati che, all’inizio del trattamento, si trovavano ad uno stadio da 1 a 3 della malattia cronica renale (chronic kidney disease o CKD). I risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine nel 2012.
La ricerca di base si è concentrata negli ultimi anni nel comprendere la funzione normale dei geni PKD1 e PKD2 e nel trovare quali siano le alterazioni che si osservano nei pazienti, in cui questa funzione viene meno. Da questi studi sono emerse due alterazioni fondamentali che si riscontrano nei diversi tipi di rene policistico: le cellule che formano le cisti crescono maggiormente rispetto a quelle presenti nei reni normali; queste cellule secernono del fluido, contribuendo così all’espansione delle cisti.
Grazie a questi studi fondamentali, sono iniziati, negli ultimi anni, una serie di test clinici su un ristretto numero di pazienti, utilizzando farmaci già in uso per altre patologie, volti a correggere questi due difetti. Al tempo stesso, la ricerca di base continua a procedere con gli studi sulla comprensione dei meccanismi di patogenesi per questa malattia allo scopo di identificare una cura specifica per il rene policistico.
Molto attivo è l’ambito di ricerca riguardante le strategie di rallentamento dei fenomeni di crescita delle cisti. Gli interventi terapeutici in questo campo riguardano molecole che, sviluppate in altri contesti e con altre indicazioni cliniche, si sono dimostrate attive nelle vie cellulari alterate in ADPKD. Una categoria di molecole è rappresentata dagli inibitori della proteina target della rapamicina (mTOR). Un’attività di ricerca genetica per determinare la funzione delle proteine policistina e policistina-2, associate alla malattia del rene policistico, è in corso per scoprire la presenza del gene di ARPKD. Di grande interesse, per il suo potenziale terapeutico, è la dimostrazione che la policistina-1, formando un complesso con la tuberina (la proteina la cui mutazione causa la sclerosi tuberosa), agisce come un inibitore endogeno dell’attività della proteina target della rapamicina (mTOR). Se mutato, come nel rene policistico autosomico dominante (ADPKD), tale meccanismo inibitorio viene compromesso e questa compromissione è ciò che favorirebbe lo sviluppo delle cisti. Questi elementi hanno suggerito un possibile ruolo terapeutico degli inibitori di mTOR in ADPKD, nell’ipotesi che questa classe di farmaci possa inibire i fenomeni proliferativi che sono alla base dell’alterazione cistica.
I recenti risultati di alcuni studi nell’uomo sull’uso dell’ inibitore della mTOR in pazienti affetti da ADPKD, hanno riportato risultati discordanti. Ciò nonostante gli Autori degli studi ritengono opportuno proseguire questo filone di ricerca, in quanto tutti gli studi di biologia molecolare, quelli preclinici e su animali, hanno confermato la bontà del percorso intrapreso.
Uno studio italiano ha recentemente rivelato che il difetto genetico in uno dei due geni associati alla malattia ( nel gene PKD1) è collegato a un’alterazione del metabolismo degli zuccheri: proprio questo meccanismo difettoso potrebbe rappresentare un interessante bersaglio terapeutico. Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine dai ricercatori dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano coordinati da Alessandra Boletta, responsabile dell’unità basi molecolari delle malattie cistiche renali dell’Istituto Telethon Dulbecco.
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L’approccio terapeutico e chirurgico
Anche in assenza, per il momento, di un rimedio farmacologico, la pratica clinica ha, tuttavia, mostrato come controlli medici regolari, una buona dieta e un costante esercizio fisico possano giocare un ruolo importante nel controllare lo sviluppo della malattia. La terapia farmacologica antipertensiva, poi, quando necessaria, può aiutare a prevenire i danni renali.
Per quanto riguarda l’approccio chirurgico, sono stati ottenuti alcuni preliminari risultati incoraggianti nell’uso della chirurgia laparoscopica riguardo le cisti sradicate (o de-roofing) per ridurre il dolore nei malati di rene policistico. Si tratta di una tecnica minivasiva, per la quale è prevista soltanto una piccola incisione, che implica tempi di recupero assai ridotti. Tale procedimento è eseguito solo in pazienti con cisti del diametro di oltre 5 mm, con una severa sintomatologia dolorosa. Questa procedura ha però una funzione puramente antalgica, ma non protettiva relativamente alla funzionalità renale.
Dieta – Rene policistico
La corretta alimentazione
Non c’è una dieta specifica che migliori la situazione del rene policistico o che possa impedirne il peggioramento.; però una particolare attenzione nella scelta di cibi e bevande è fondamentale per le persone che quotidianamente si trovano ad affrontare questa malattia.
Una delle funzioni del rene è eliminare i prodotti di scarto presenti nell’organismo. Il cibo è indubbiamente la fonte principale di queste sostanze, soprattutto le proteine. Nelle persone che presentano una significativa riduzione della funzione renale è consigliata una dieta ipoproteica, meglio se appositamente indicata e seguita dal medico curante.
Tra i consigli per proteggere il rene ci sono quelli di evitare grandi quantità di carne rossa e di sale (ancora più importante in pazienti che assumono farmaci per il controllo della pressione sanguigna o per l’insufficienza renale).
Il primo beneficio per il rene arriva dalla buona abitudine di bere molta acqua. Quando si bevono molti liquidi, aumenta la produzione di urina e ciò permette al corpo di eliminare più facilmente i prodotti di scarto, evitando di incorrere in fenomeni di disidratazione. Nelle persone affette da rene policistico, i reni possono avere molte difficoltà nel trattenere l’acqua: per queste persone è consigliabile non rimanere mai senza un adeguato apporto idrico, purché, però, non si tratti di bevande a base di caffeina, te e alcune bevande fredde.
La caffeina, infatti, fa aumentare all’interno delle cellule renali il livello di un composto conosciuto come AMP ciclico. Non esistono, tuttavia, studi clinici che dimostrino o meno, che questa sostanza agisca sulla velocità in base alla quale si dilatano le cisti renali. I medici ritengono però opportuno informare e consigliare i pazienti di non eccedere con questa bevanda. Allo stesso tempo, è richiesta molta cautela nei confronti delle bevande alcoliche: nonostante non sia stato scientificamente dimostrato un legame diretto tra un uso moderato e/o saltuario di alcol ed eventuali danni a reni e fegato, si pensa che bere tre o più bicchieri di alcol al giorno aumenti la pressione arteriosa e provochi danni al fegato.
Il paziente con rene policistico, fra le altre, va incontro a due complicanze che accelerano la comparsa o la progressione dell’insufficienza renale: ricorrenti infezioni del tratto urinario (UTI) e la nefrolitiasi e/o nefrocalcinosi, complicanze che beneficiano di un introito liquido non inferiore ai due litri d’acqua al giorno. Malgrado ci sia un accordo generale circa la quantità d’acqua da assumere quotidianamente, l’attenzione dei nefrologi non é pari al discorso di tipo qualitativo.
Studi di Di Paolo et al., risalenti al 2000, hanno dimostrato che solo alcune acque oligominerali naturali possono avere un effetto depurativo e non tanto un effetto diuretico sul rene ammalato: si tratta soprattutto di acque naturali ipotoniche con bassa presenza di sodio e calcio, e quindi a basso Residuo Fisso. Tenuto conto che, per convenzione, si definisce oligominerale un’acqua con Residuo Fisso (ovvero le ceneri di minerali presenti in un litro d’acqua evaporata ed essiccata a 180°) inferiore ai 500 mg/l, é comunque bene rifarsi alla definizione di Marotta e Sica che individuava, prima del 1983, molto più correttamente in 200 mg/l il R.F. di un’acqua oligominerale.
Nella fattispecie acque con R.F. < a 200 mg/l si rivelano molto più efficaci nel caso del rene policistico, trattandosi di una patologia gravata da ipercalciuria, che necessita di una detersione che solo questo tipo di acque possono garantire, dal rene fino alle basse vie urinarie. Venendo alla posologia, é buona norma evitare un carico idrico di 500 ml in mezz’ora per il rischio di coliche renali o emorragie intracistiche da ipo-osmosi.
È corretto, dunque, educare il paziente a un introito quotidiano di tipo termale: 200ml al mattino, a digiuno, in ortostasi o camminando. Di seguito: 250 ml un’ora prima dei pasti e due ore dopo i pasti; 300 ml la sera prima di coricarsi e 200 ml dopo ogni eventuale minzione notturna.
Tale trattamento é idoneo anche in caso di Insufficienza Renale Cronica fino al 3° stadio K/DOQI (escludendo ovviamente i pazienti in ritenzione idrosalina o franchi edemi).
In ogni caso il basso tenore in sodio (Na) di alcune acque è un valore aggiunto se c’è ipertensione. Infine, é bene, in presenza di UTI, preferire acque con nitrati < 10 mg/l.
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Glossario per Rene policistico – Enciclopedia medica Sanihelp.it
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