Sanihelp.it – Esiste una componente genetica in quella che è stata a lungo definita impotenza, ossia l'incapacità di ottenere e mantenere un'erezione sufficiente per l'attività sessuale. Un gruppo di ricercatori del Kaiser Permanente Northern, ente non profit attivo in campo sanitario, con sede a Oakland in California, ha infatti scoperto che una variante in un punto specifico del genoma, per la precisione sul cromosoma 6, strettamente legata al gene Sim1 (che svolge un ruolo in un circuito ormonale legato sia alla regolazione del peso corporeo sia alla funzione sessuale), è significativamente associata a un aumentato rischio (+26%) di disfunzione erettile.
Gli studiosi sono giunti a questo risultato utilizzando il metodo di analisi detto genome wide association, (procedura che punta ad associare certe varianti del genoma con la presenza di determinate malattie), prima su i dati di oltre 36 mila uomini coinvolti nel programma di ricerca Kaiser Permanente su geni, ambiente e salute e poi, per verifica, sui dati di oltre 220 mila uomini, proveniente da un database inglese.
«È la prova a lungo ricercata che esiste una componente genetica della malattia» commenta Eric Jorgenson, membro del gruppo di ricercatori che ha pubblicato i risultati sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences. «Si tratta di una scoperta entusiasmante perché apre la porta a indagini su nuove terapie».
Il deficit erettile è legato a molte cause, come fattori neurologici, ormonali e vascolari, e le terapie esistenti si basano su questi fattori, ma non tutti gli uomini ne traggono giovamento: esisteva per questo già il sospetto che la genetica potesse influire (e far fallire le cure) in circa un terzo dei casi, ma finora la ricerca non era riuscita a creare un'associazione con nessuna posizione genomica specifica. Nell’arco dei prossimi anni, perciò, potrebbero esserci nuove opzioni di cura oltre alle celebri pillole dell’amore.