Cause
È provocato da un’occlusione completa di una coronaria con arresto del flusso del sangue verso un'area di tessuto miocardico. La causa principale è l'aterosclerosi coronarica. Il principale fattore di rischio è dato da una preesistente cardiopatia ischemica da coronaropatia aterosclerotica, ma va detto che nel 50% circa dei casi l'infarto può essere la prima manifestazione di una coronaropatia. Altri fattori che aumentano il rischio di infarto miocàrdico sono: le dislipidemie, e in particolare l' ipercolesterolemia; l' ipertensione arteriosa; il fumo di sigaretta (rischio doppio, che diventa triplo se si superano le 20 sigarette al giorno e aumenta ulteriormente se è associato ad altri dei fattori di rischio elencati); il diabete mellito; il sesso maschile e un'età compresa tra i 50 e i 60 anni. A questi si aggiungono aspetti tipologici quali: familiarità, obesità, inattività fisica; e fattori precipitanti: sforzo fisico violento, emozione intensa, emorragia grave, shock, stress continuo, iperlavoro fisico o mentale, decorso postoperatorio (soprattutto negli anziani). L'infarto miocàrdico colpisce prevalentemente il ventricolo sinistro, ma anche quello destro non ne è esente.
Terapia consigliata
La diagnosi si effettua sulla base della manifestazione clinica e dei dati di laboratorio e strumentali (elettrocardiogramma, esame del sangue, ecocardiogramma ecc.). È necessario instaurare tempestivamente un monitoraggio cardiaco e della pressione arteriosa e una terapia intensiva, ricoverando il paziente in unità coronarica, al fine di prevenire le complicazioni. Di queste, le più frequenti sono la pericardite e soprattutto l'insufficienza cardiaca e l’insorgere di aritmie (da semplici extrasistoli alla pericolosissima tachicardia ventricolare), che sono le cause più frequenti di morte precoce dei pazienti infartuati.
Un infarto miocardico acuto costituisce una assoluta emergenza medica: il paziente va trasportato immediatamente in ospedale (nell’attesa dell’ambulanza si può somministrare di acido acetilsalicilico), dove sarà avviata il prima possibile la terapia trombolitica (streptochinasi, attivatori del plasminogeno tessutale o tPA) e ogni altro procedimento volto ad ottenere la riperfusione dell’area miocardica infartuata (eventuale angioplastica coronarica primaria). La terapia sedativa (morfina) si associa al controllo delle eventuali aritmie, al mantenimento di una buona attività contrattile cardiaca, a alla scoagulazione associata a terapia antiaggregante precoce, alla riduzione del lavoro cardiaco e quindi delle richieste di ossigeno ecc.
La terapia in fase acuta mira alla risoluzione dell'ostruzione, ove possibile; ciò si ottiene con sostanze ad azione trombolitica - streptochinasi, urochinasi, tPA (tissue plasminogen activator, attivatore tessutale del plasminogeno) - che, se somministrate entro poche ore dall'inizio dei sintomi, ottengono i migliori risultati (entro le prime 3 ore = risultati ottimi; entro la 6a ora = risultati buoni; entro la 12a ora = ancora qualche beneficio; oltre la 12a ora = risultati scarsi). Contemporaneamente alla trombolisi, va iniziata anche la somministrazione di farmaci anticoagulanti (eparina) e antiaggreganti (acido acetilsalicilico). Nella fase acuta, il trattamento prevede - oltre al riposo assoluto - anche la somministrazione di ossigeno e di altri farmaci specifici: antidolorifici potenti come la morfina, antiaritmici e farmaci che riducono il lavoro del cuore (betabloccanti, nitrati). Il soggetto va alimentato esclusivamente con liquidi per un primo periodo, poi si aggiungeranno anche lipidi e calorie. Il riposo assoluto a letto sarà mantenuto per alcuni giorni; poi, gradatamente, il paziente potrà stare seduto per pochi minuti al giorno, fare brevi camminate e infine riprendere le normali attività quotidiane. L'unica indicazione cardiochirurgica sicura (principalmente by-pass aortocoronarico e PTCA, ovvero angioplastica, da portare a termine dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche del paziente) è rappresentata dalla presenza di dilatazione cardiaca con coronaropatia diffusa (almeno 3 vasi, o 2 se uno di questi è il tronco comune della coronaria sinistra): se l'ostruzione è a carico di 1 solo vaso, infatti, disostruirlo o meno non cambia sostanzialmente la prognosi: in ogni caso, infatti, il vaso tende a rimodellarsi da sé, ricanalizzandosi spontaneamente a distanza di tempo variabile. Dopo la dimissione dall'ospedale, il soggetto può recuperare la normale attività lavorativa e sociale, pur essendo necessario continuare il trattamento farmacologico, effettuare le visite di controllo previste e prendere alcune precauzioni (evitare sforzi, svolgere modesta attività fisica, adeguare la dieta, abolire fumo e alcol ecc.).