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Preferisci un cibo piuttosto che un altro? Questione di geni

Sanihelp.it – Il gusto di una sostanza è dato dalla sua composizione chimica.


Le molecole chimiche di cui è composto un alimento infatti, una volta disciolte nella saliva entrano in contatto con le cellule gustative presenti nella bocca (ed in particolare su lingua, epiglottide e palato molle), che inviano poi la percezione sensoriale registrata al cervello.

Ma come dimostra uno studio eseguito presso l’Università di Cagliari e pubblicato su PlosOne, il contenuto dell’informazione inviata al cervello risulta essere diversa a seconda del corredo genetico individuale.

Infatti, così come per gli altri sensi, anche per il gusto esistono una serie di abilità legate alla variabilità genetica, ed in particolare a quel raggruppamento di geni che determinano la percezione dell’amaro, ovvero quel gusto (rilevabile in presenza di PROP e PTC, ovvero di particolari sostanze chimiche appartenenti alla famiglia della tiourea) verso cui l’uomo è particolarmente sensibile poiché storicamente indice di sostanze nocive o tossiche per l’organismo.

Nello specifico, analizzando i risultati dei ‘test del gusto’ eseguiti su 76 individui, i ricercatori hanno rilevato differenti livelli di sensibilità nella percezione del gusto amaro, tanto che il 36% dei partecipanti è risultato super-tasters (con una forte sensibilità per il gusto amaro), il 36% medium-tasters (con una media sensibilità) ed il 27% non-tasters (con una bassa sensibilità).

Queste differenze, dovute a mutazioni del gene TAS2R38, sono trasmesse in maniera ereditaria da genitori a figli, e potrebbero influenzare (anche se non in maniera esclusiva) il comportamento alimentare e l’Indice di Massa Corporea (IMB) individuali.

«I nostri risultati hanno mostrato un’inversa relazione tra la sensibilità al PROP e il BMI – spiega il team di ricercatori, guidato dalla dottoressa Iole Tomassini Barbarossa – e hanno confermato che i fattori cognitivi che condizionano il comportamento alimentare possono avere un ruolo molto importante nella determinazione di questa relazione».      


Ma c’è di più: un’ulteriore sviluppo della ricerca infatti, eseguita sempre dall’Università di Cagliari in collaborazione però con la Rutgers University del New Jersey, è stata scoperto anche come una proteina salivare, l'aminoacido Arginina, «sia in grado di aumentare la percezione gustativa in relazione alla sua concentrazione nella saliva – spiega la dottoressa Tomassini Barbarossa – motivo per cui una supplementazione potrebbe aumentare la percezione gustativa, soprattutto nelle persone che ne sono mancanti fisiologicamente».

«L’implementazione dei livelli di Arginina potrebbe rivelarsi una strategia efficace per modificare selettivamente le risposte gustative – aggiunge la dottoressa Tomassini Barbarossa – e potrebbe aprire le frontiere nelle moderne 'Food sciences' per la realizzazione di cibi che, combinando un gusto piacevole con determinati valori dietetici, migliorino l’esperienza di pazienti spesso costretti a menù punitivi e privi di gusto».

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FontePlosOne

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