Sanihelp.it – Solitamente, tra i sintomi che manifestiamo allorché influenzati, vi è quello dell’innappetenza: solo all’idea di mangiare ci sentiamo nauseati; ciò nonostante ci sforziamo di farlo per non debilitare troppo l’organismo e guarire più velocemente.
Secondo un’indagine del californiano Salk Institute for Biological Studies, pubblicato sulla rivista scientifica Cell, esistono tuttavia batteri che – apparentemente contro il proprio interesse – inducono in noi lo stimolo della fame una volta che riescono a insediarsi all’interno del nostro corpo.
Stando a quanto dichiarato nello studio, condotto da Janelle Ayres, un esempio è dato dalla Salmonella typhimurium, la salmonella enterica, un comune batterio intestinale. Questo microrganismo avrebbe infatti sviluppato la capacità di trovare un compromesso tra le proprie necessità di diffusione all’interno dell’organismo, e quelle di trasmissione da organismo a organismo (mediante le feci); ma in che modo? A spiegarlo è stato un esperimento condotto su alcune cavie di laboratorio infettate con lo sgradito batterio: si è notato, infatti, che la salmonella riusciva a bloccare la risposta che porta alla perdita di appetito nel topo, e ciò nella misura tale da raggiungere un compromesso tra virulenza – ossia la capacità del microbo di diffondersi nell’organismo ospitante – e trasmissibilità. Infatti, quando l’inappetenza ci impedisce di mangiare, la salmonella tende a spostarsi dall’intestino (vuoto) diffondendosi per l’organimo in cerca di nutrimento; cioè si traduce in un aumento di virulenza ma in un calo di trasmissibilità. In questo caso, tuttavia, il batterio prima o poi muore e le sue possibilità di contagiare altri finiscono. Per questo motivo la Salmonella typhimurium è riuscita a sviluppare la capacità di bloccare l’attivazione delle citochine, proteine che si trovano nell’intestino, che comunicanco con l’ipotalamo – il centro dell’appetito nel cervello – bloccando l’inappetenza durante un’infezione; in tal modo lo stimolo della fame si fa sentire nuovamente e, ‘facendoci mangiare’, il microrganismo presente nel nostro intestino recupera i nutrienti necessari a sopravvivere mantenendo vivo il proprio potenziale di trasmissibilità – anche se a scapito della virulenza.
La scoperta è fondamentale perché mostra come fosse falsa la vecchia credenza secondo la quale virulenza e trasmissibilità andassero di pari passo. Un possibile punto di partenza per un’eventuale sviluppo di strategie nutrizionali che permettano di ‘affamare’ l’intruso senza aumentarne i conseguenti processi di diffusione nell’organismo.