Sanihelp.it – Vi siete mai chiesti come mai a volte guardando un volto basti una frazione di secondo per capire come l'altra persona si sente? C'è chi la chiama empatia: c'è chi ritiene di essere semplicemente un buon osservatore. Ma la realtà è un'altra. In quella frazione di secondo, il nostro cervello meraviglioso ha già decodificato le caratteristiche facciali, comprendendo se l'interlocutore che abbiamo di fronte è di buono o cattivo umore prim'ancora che noi ce ne rendiamo conto. I ricercatori della Ohio State University hanno cercato l'area cerebrale che rende tutto ciò possibile: e l'hanno trovata al di sopra del nostro orecchio destro.
Per farlo, gli scienziati americani hanno sottoposto dieci volontari a risonanza magnetica per monitorarne l'attività del cervello mentre guardavano immagini o espressioni facciali, divise in disgustate, felicemente sorprese, felicemente disgustate, sorprese con rabbia, sorprese con paura, tristemente impaurite e disgustate con paura. Così facendo, hanno scoperto che vi era un picco di attività in una regione denominata solco temporale posteriore superiore: ogni movimento muscolare aveva il suo pattern cerebrale distinto e volto a codificarne il significato. Il grado di precisione del progetto ha permesso ai ricercatori di indovinare prima che tipo di espressione avesse di fronte il volontario, guardando al tipo di attività cerebrale che il soggetto presentava.
Lo studio dimostrava peraltro che questi pattern non cambiano di individuo in individuo in base al suo background culturale o sociale: rimangono sostanzialmente gli stessi, invariati, per ciascuno di noi. Tale scoperta, oltre a risultare molto interessante, potrebbe avere ripercussioni pratiche e fornire una migliore di comprensione di patologie quali l'autismo, in cui i pazienti spesso non riescono a decifrare le espressioni facciali di chi hanno di fronte. Gli esseri umani utilizzano molto le espressioni ed il linguaggio non verbale quando comunica: grazie a questo studio ora sappiamo che nel cervello c'è un'area espressamente dedicata alla loro codifica. I risultati dello studio sono stati pubblicati recentemente sulla rivista specializzata Journal of Neuroscience.