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Una nuova malattia trasmessa dalla zecca: la neo-ehrlichiosi

Sanihelp.it – Chi di noi ha un amico peloso, sa che le zecche possono essere molto pericolose sia per il nostro cucciolo, che infatti tenta disperatamente di grattarsele via, sia per il nostro organismo. Questi parassiti rappresentano infatti pericolosi agenti di diverse malattie infettive, tra cui la malattia di Lyme, l'encefalite, la piroplasmosi e la febbre Q, potenziale arma terroristica biologica.


Già questo basterebbe per renderci questi animaletti fastidiosi parecchio antipatici. Ma ad alzare il livello di insofferenza ed attenzione ci ha pensato l'Istituto di Microbiologia Medica di Zurigo, che ha scoperto che le zecche possono essere anche portatrici di una malattia fino ad oggi sconosciuta e ribattezzata neo-ehrlichiosi. Uno studio dei ricercatori svizzeri, condotto in collaborazione con colleghi tedeschi e svedesi e pubblicato sulla rivista specializzata Clinical Infectious Diseases, ha evidenziato come la patologia deriverebbe da un batterio, il Candidatus Neoehrlichia mikurensis, isolato per la prima volta proprio a partire dai parassiti e dai roditori asiatici ed europei oramai nel lontano 1999.

I primi casi di infezione negli umani si sono verificati nel 2010: tra i vari sintomi della nuova malattia vi sarebbe la presenza di anemia, trombosi, stati di incoscienza e febbre alta, anche più di 39°, duratura ed intermittente. Tipologie più severe di neo-ehrlichiosi possono portare ad aneurisma ed emorragia intracerebrale e subaracnoidea, con conseguente decesso, come accaduto ad un uomo di 58 anni nel 2008.

Molti dei sintomi sopra citati sono comunque derivati da un'intempestiva somministrazione della terapia antibiotica apposita, molto efficace nel debellare la malattia nel giro di qualche giorno: ciò nonostante, tali rischi sono effettivi e reali, in quanto una buona parte dei pazienti inizialmente è asintomatica, ed è estremamente difficoltoso confermare la presenza di tale patologia, in quanto viene evidenziata solo tramite esame del DNA. La speranza è che, avendole ora dato un nome, pazienti e dottori saranno maggiormente consapevoli dell'esistenza e dei rischi di tale infezione e che possa essere curata in maniera facile e veloce.  

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