Sanihelp.it – Anticorpi che funzionano come ponti tra le cellule tumorali e i linfociti: da un lato agganciano la cellula malata e dall’altro la cellula del sistema immunitario, così che quest’ultima possa distruggere il suo bersaglio.
«Rispetto alle Car-T, che vanno fabbricate ad personam per ogni singolo paziente per modificarne i linfociti T in modo da scatenarli contro la malattia, gli anticorpi bispecifici potranno essere universali, ossia uguali per ogni paziente che potrà beneficiarne, e pur cari saranno sicuramente meno costosi delle Car-T perché verrebbero prodotti come un normale farmaco».
Lo spiega all'AdnKronos Salute Riccardo Dalla Favera, ematologo italiano che presta la sua opera negli Usa, dove dirige l'Institute for Cancer Genetics della Columbia University di New York e insegna genetica.
Dalla Favera è tornato per qualche giorno in Italia per partecipare nel capoluogo lombardo al Grandangolo in Ematologia, uno dei principali appuntamenti annuali di aggiornamento sulle patologie emato-oncologiche giunto alla sua decima edizione.
La sperimentazione degli anticorpi bispecifici è arrivata alle fasi cliniche preliminari e riguarda sempre neoplasie di competenza onco-ematologica, quindi tumori del sangue.
Un’altra strada da percorrere, spiega l'ematologo, riguarda la genetica del cancro, in particolare lo studio del DNA non codificante, che costituisce la maggior parte del patrimonio genetico. Finora la ricerca si è concentrata solo sulla parte di DNA che codifica per proteine, che però costituisce solo il 3% del genoma.
Potrebbe essere proprio questo DNA, finora poco considerato, a costituire una fonte alla quale attingere per ottenere risultati importanti per la ricerca.