Sanihelp.it – Un anno difficile per la moda, investita da un clima bellico di terrore e povertà, diffuso in tutta Europa.
New York diventa l’isola della speranza per molte celebrità, artisti e intellettuali che abitavano prima la bella Parigi.
Le donne hanno raggiunto l’indipendenza economica, lavorano negli uffici e nei centri d’assistenza indossando le uniformi, diventano crocerossine o si arruolano.
Tutto ciò che era lusso viene ora dimenticato. Oltre allo spirito della popolazione, mancano le materie prime: le stoffe vengono razionate così come il cibo e i cosmetici, il cotone, la seta e la lana sono introvabili, le sartorie sono costrette a chiudere.
Il segreto sta nel make-do-and-mend, come consiglia lo stesso Vogue in quegl’anni, ossia ‘arrangiarsi e rattoppare’.
Niente capi nuovi, ma solo un riciclaggio attraverso materiali di recupero e abilità manuale: le uniformi e i cappotti maschili diventano giacche e soprabiti, le borse sono ampie e comode a tracolla, le zeppe in legno o sughero, i capelli si annodano in turbanti o fazzoletti. L’unico tocco frivolo ed eccentrico, i cappelli. Originali, personalizzati con carta da giornale, tulle, scarti di tessuto.
La donna europea veste severi tailleur e cappotti realizzati in tessuti pesanti come lana e tweed, ma sdrammatizza il look con rossetti rosso fuoco e cappellini stravaganti. Diventano pratici i mantelli con il cappuccio, i capi in jersey e quelli impermeabili.
In America nel frattempo trionfa il ready-to-wear (o pret-à-porter francese) sull’haute couture, ossia la produzione industriale della confezione in serie, più adatta a soddisfare le esigenze di una società democratica e in continua evoluzione.
Il cinema hollywoodiano entra nel suo periodo d’oro, rappresentando uno strumento di evasione straordinario che risollevava il morale della popolazione e dei soldati, grazie alla creazione di un immaginario delizioso, abitato dalle celebrità più sensuali.
Le dive ora sono sexy pin-up: Betty Grable, Veronica Lake, Ingrid Bergmann, Lana Turner, Rita Hayworth, Ava Gardner, dalle forme sinuose e ammalianti.
Una bellezza femminile pura e genuina, illumina anche gli animi italiani a fine anni ’40.
Mentre la corrente neorealista attraversa tutte le forme d’arte, in particolare il cinema, la donna incarna una semplicità vera e disarmante, un atteggiamento spigliato, e mostra con disinvoltura le forme sinuose del proprio corpo, tipicamente mediterranee.
Mora, pelle olivastra, labbra carnose, è irresistibile. Veste ampie gonne a pieghe e camicette di seta, sensuali abiti stampati dai colori vivaci, lunghi fin sotto al ginocchio; di sera porta eleganti guanti e pellicce.
Tra le attrici rappresentative, Anna Magnani ripresa da Rossellini o Silvana Mangano in Riso Amaro di Giuseppe De Santis.
Nella Francia post-bellica, risorge l’haute couture, grazie al celebre Théatre de la mode, evento itinerante inaugurato nel ’45, mirato a un totale rilancio dell’alta moda a livello internazionale. Duecento bambole-manichini realizzate in fil di ferro vestite dagli abiti dei sarti parigini, Patou, Schiaparelli, Vionnet, Fath, Lelong, Balenciaga, Lelong, ne proclamano il successo ad ogni tappa: Londra, Barcellona, Stoccolma, San Francisco, New York.
E nel ’47, la svolta con Christian Dior: rinasce la silhouette a clessidra del 1800, in un mood vivo e sofisticato.
La direttrice di Harper’s Bazaar, Carmel Snow, lo definì ‘New Look’. Fu un nuovo inizio.