Un’alimentazione varia e bilanciata sembrerebbe essere il miglior modo per introdurre nell’organismo la sufficiente quantità di antiossidanti necessari per il nostro benessere. Ma non sempre è così: il contenuto in antiossidanti degli alimenti può essere influenzato da diversi fattori, come le condizione climatiche e colturali in cui crescono i cibi di origine vegetale, le condizioni di stoccaggio e anche i processi tecnologici di conservazione.
A confermarlo sono i dati riportati nel documento Environmental Indicator Report 2013 dell’AEA (Agenzia Europea dell’Ambiente), all’interno del quale il sistema agroalimentare viene indicato come uno di quelli con il maggiore impatto sull'ambiente.
Ybele Hoogeveen, dell'Agenzia europea per l'ambiente, a capo di un gruppo che lavora sull'impatto dell'utilizzo delle risorse sul benessere ambientale e umano, dichiara: «Vi è un legame stretto tra il cibo e la salute e il benessere; sia la malnutrizione che l'obesità sono patologie direttamente collegate al cibo. Anche l'agricoltura contribuisce al cambiamento climatico e all'inquinamento idrico e atmosferico, i quali rappresentano potenziali minacce indirette alla salute e al benessere umani».
Continua l'approfondimento: «Dal punto di vista dei consumi, vi sono stati dei cambiamenti di dieta negli ultimi anni. Ad esempio, il consumo di carne rossa è aumentato considerevolmente negli ultimi cinque decenni. Ma rispetto ai livelli del 1995, vi è una riduzione del 10% del consumo pro capite di carne di vitello. Dall'altro lato, gli europei mangiano più pollame, pesce, frutta e verdura».
«L'intensificazione, ossia l'ottenimento di maggiori rese per ettaro attraverso l'ampliamento di scala, la meccanizzazione, i sistemi di drenaggio, l'irrigazione e l'applicazione dei fertilizzanti e i pesticidi da un lato aumentano la redditività e ciò significa che abbiamo bisogno di meno terra per l'agricoltura. Dall'altro lato, riduce la biodiversità dei terreni coltivati e aumenta l'inquinamento del terreno, dei fiumi e dei laghi».
Spiega la dottoressa Silvana Hrelia, del Dipartimento Life Quality Studies dell’Università di Bologna: «Sono proprio le diverse condizioni climatiche, il tempo intercorso dalla raccolta e la tipologia di stoccaggio che determinano un progressivo declino della qualità nutrizionale di un alimento. Talvolta un frutto esotico può giungere sulle nostre tavole con un contenuto in nutraceutici più che dimezzato. la ricetta è semplice, scegliere sempre prodotti di stagione (quindi no alle fragole a Natale e alla arance a Ferragosto) e, quando possibile preferire la filiera corta. In tal modo non solo ci assicureremo il miglior valore nutrizionale dei prodotti agroalimentari, ma daremo anche una mano all'economia locale. Per questo motivo in alcuni casi può risultare utile fare uno degli integratori: pensiamo al resveratrolo (presente nell’uva e nel vino rosso), oppure alle delfinidine del maqui (il mirtillo che cresce nel sud del Cile)» .
Cosa succede dal punto di vista biochimico a frutta e verdura quando vengono coltivati in modo intensivo?
«Le coltivazioni intensive non rispettano i tempi naturali di crescita e sviluppo della pianta e soprattutto mantengono il prodotto in condizioni controllate di temperatura e rifornimento di nutrienti. Se questo garantisce una qualità del prodotto che, dal punto di vista commerciale, va incontro alla richiesta dei consumatori, molto spesso ciò non va incontro alle necessità nutrizionali. È risaputo che le escursioni termiche e il ciclo delle stagioni sono i fattori determinanti per sintetizzare nella pianta i preziosi antiossidanti, che la pianta appunto produce per difendersi da tali insulti. Se la coltivazione è intensiva, protetta e controllata la pianta, non essendo esposta agli stress naturali non produrrà più un tale quantitativo di antiossidanti, determinando in tal modo un suo peggiore valore nutrizionale. Quindi non sempre la frutta più bella è anche la più sana!»
Quanto incide l’inquinamento atmosferico e del terreno sulla qualità di ciò che mangiamo?
“Ovviamente molto, e spesso questo è un problema difficilmente evitabile anche se prevenibile, soprattutto l'inquinamento del terreno. La pianta assorbe ciò che trova nel terreno e di conseguenza tali componenti estranei corrono il rischio di ritrovarsi in tutta la filiera alimentare, fino nelle carni e nel latte degli animali da reddito che rappresentano uno degli anelli terminali della catena”.
Scegliere frutta e verdura biologiche può bastare?
“Assolutamente no, e qui occorre fare chiarezza. la coltivazione “in biologico” non implica necessariamente l'assenza di fitofarmaci, infatti sostanze come il rame sono ammesse anche nel trattamento biologico. Ma il grosso problema del biologico riguarda la certificazione, che viene rilasciata da agenzie private, a differenza delle coltivazioni tradizionali o integrate che vengono controllate dall'ARPA e/o a livello di istituzioni pubbliche”.
Quindi la domanda da porsi è: chi controlla il controllore?
“Fino a quando non esisterà una legislazione che normi anche le procedure di controllo del biologico, in analogia a quanto si verifica per le coltivazioni tradizionali, l'aggettivo “biologico” non è di per sé garanzia di qualità. Importante pertanto è la serietà del produttore”.