Sanihelp.it – È già stato acclamato come il vincitore di Russia 2018: Oscar Tabarez, il commissario tecnico della nazionale dell’Uruguay che, al momento in cui scriviamo, è passata ai quarti di finale eliminando il Portogallo di Cristiano Ronaldo e se la vedrà con la nazionale francese per conquistare la semifinale.
Vincitore non perché, appunto, la sua squadra è ancora in gara per la vittoria, ma perché è un esempio in panchina nonostante una malattia che lo costringe a muoversi con le stampelle. È stato, infatti, colpito dalla sindrome di Guillain-Barré, nome con il quale si identifica un gruppo di neuropatie post-infettive rare.
La neuropatia, come ricorda la Fondazione Telethon (che fa ricerca anche su questa malattia), è dovuta alla demielinizzazione, cioè all'alterazione della guaina di mielina che riveste i nervi (e che serve per facilitare la trasmissione del segnale nervoso), determinando debolezza muscolare e disturbi neurologici e sensoriali, come formicolii e riduzione della sensibilità progressivi (fino anche alla paralisi) , che esordiscono in genere alle gambe e poi risalgono, arrivando a colpire i muscoli della respirazione e i nervi della testa e del collo.
La demienilizzazione è ritenuta di origine autoimmune, cioè dovuta a una reazione spropositata e anomala del sistema immunitario, scatenata con tutta probabilità da un'infezione. Spesso, infatti, la sindrome colpisce dopo un’infezione da parte del batterio Campylobacter e quindi può colpire a ogni età.
Il trattamento consiste nella somministrazione di anticorpi per via endovenosa (immunoglobuline) o trasfusioni di plasma (plasmaferesi), associati a fisioterapia e riabilitazione. Come si legge sul database delle malattie rare Orphanet, la prognosi varia a seconda delle forme della sindrome: alcuni pazienti si ristabiliscono completamente, altri non sono in grado di camminare 6 mesi dopo l'esordio della malattia, altri ancora non sopravvivono.
E Tabarez? Un anno fa, intervistato proprio da giornalisti italiani sulle proprie condizioni di salute (si sa della sua malattia dal luglio 2016) dichiarò: «Mi chiedete come sto? Più vicino alla fine che all’inizio. Ma le grandi sfide mantengono vive le persone». E più recentemente: «A volte sto meglio, a volte sto peggio. Ma, fino a quando Dio me lo permetterà, io continuerò ad allenare». E in un mondiale senza Italia, viene così quasi naturale tifare Uruguay.