Tumore del colon retto
La malattia è anche conosciuta come:
cancro del colon-retto, carcinoma colon-rettale, carcinoma del colon-retto, neoplasia del colon-retto, tumore del colon e del retto
INDICE
Il tumore al colon retto è un killer silenzioso ma curabile, purché sia diagnosticato precocemente. Mentre si intensificano le campagne di screening in tutta Italia, le cure fanno passi da gigante con due importanti novità: i farmaci biologici e la chemioterapia target.
Categoria: Malattie oncologiche
Sigla: CRC
Che cos’è – Tumore del colon retto
Identikit di un killer silenzioso ma curabile, purché…
Il tumore del colon retto è un tumore localizzato nell’intestino crasso nella sua porzione prossimale (colon) o nell’ultimo tratto (retto). In molti casi il tumore si sviluppa da alcune pieghe a forma di fungo (polipi) che si possono formare all’interno del colon o del retto. Se un polipo si trasforma in tumore, ma è diagnosticato in fase precoce, si può intervenire rimuovendolo.
Questo tumore conta nel mondo circa 1 milione di casi all’anno ed è al terzo posto per incidenza con circa 700.000 decessi ogni anno, quasi 2.000 persone ogni giorno. In Europa, è la seconda causa di morte (circa 500 morti al giorno): ogni anno sono diagnosticati circa 400.000 nuovi casi.
I dati più recenti stimano circa 40.000 nuovi casi ogni anno in Italia; di cui un 10% nasce da predisposizione genetica, l’altro 90% colpisce la popolazione in generale, soprattutto le persone anziane, oltre i 50 anni. Tipicamente associato all’uomo, questo tumore sta aumentando anche tra le donne (soprattutto se in sovrappeso), in particolare nella variante che colpisce la parte destra del colon.
Il tipo più comune è l’adenocarcinoma, che rappresenta il 90% della casistica. Altre forme, piuttosto rare, sono il sarcoma, il linfoma, i tumori carcinoidi e il melanoma.
Sono molteplici le cause che concorrono a determinare la malattia: alimentazione ad alto contenuto di grassi animali e proteine e povera di fibre (infatti questo tumore è più frequente nei paesi occidentali dove la dieta seguita è di stile americano, rispetto ai paesi dove vige una dieta mediterranea); obesità; familiarità con casi di tumore del colon retto e/o polipi intestinali; età (il rischio aumenta oltre i 50 anni); scarsa attività fisica.
«Se diagnosticato e trattato precocemente, il cancro è curabile – afferma Roberto Labianca, Direttore Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Ospedali Riuniti di Bergamo – È stimato che la diagnosi precoce e il trattamento comportano una sopravvivenza del 90%, se il tumore è al primo stadio (parliamo di qualche centinaia di migliaia di casi) e del 50% circa se al terzo stadio. Ma la situazione può ancora migliorare: la sopravvivenza a 5 anni è del 55% in Europa contro il 65% degli Stati Uniti, un gap da superare il prima possibile».
Tumore al colon: due casi su tre sono guaribili
Cresce tra gli italiani (79%) la consapevolezza che le condizioni ambientali sempre peggiori sono corresponsabili dell’insorgenza di forme patologiche anche gravi. Le malattie più correlate al peggioramento della qualità della vita sono i tumori (36%), lo stress (18%), la depressione (8,2%) e le malattie cardiovascolari (7%).
In particolare, il 64% ritiene che il numero dei tumori in Italia sia cresciuto: nella classifica delle forme più gravi, spicca al primo posto quello al polmone (59%), seguito da quello al seno (20%), fegato (18%), pancreas (16%), colon (12%) e cervello (12%).
Tuttavia, in riferimento al tumore al colon, a fronte della diffusa consapevolezza della pericolosità vi è una sottostima della sua effettiva aggressività, soprattutto sugli over 50enni. Prevenzione che oggi viene svolta prevalentemente (58%) dai medici di famiglia, anche se la tv è una fonte autorevole e utile (40%) . Gli intervistati chiedono, nella quasi totalità, che ai malati di cancro siano somministrate le terapie più innovative oltre che un’assistenza domiciliare di qualità, servizi di supporto informativi e accessi privilegiati per le urgenze.
Sono questi, in sintesi, i dati salienti che emergono da una ricerca condotta dall’Istituto Lexis Ricerche di Milano, sostenuta da Amgen Dompé, su un campione di 600 italiani, 50% uomini e 50% donne, di età compresa tra i 35 e 60 anni, e volta a misurare la consapevolezza e la conoscenza sull’evolversi dei casi di tumore in Italia, con particolare attenzione alla prevenzione del tumore al colon.
Negli ultimi 5 anni l’armamentario terapeutico per il tumore del grosso intestino, soprattutto del tumore del grosso intestino metastatico, si è arricchito di farmaci nuovi ed efficaci, soprattutto gli anticorpi monoclonali. I farmaci biotecnologici hanno permesso di aumentare la sopravvivenza complessiva e soprattutto la sopravvivenza senza progressione della malattia.
Secondo un recente studio, i pazienti trattati chirurgicamente con metastasectomia e con farmaci di nuova generazione registrano anche una sopravvivenza media superiore ai 36 mesi e nel 20% dei casi fino a 5 anni.
In particolare il farmaco panitumumab è risultato essere efficace in pazienti con un tumore al grosso intestino metastatico, risultato resistente a tutte le terapie precedentemente disponibili. In questi pazienti si è osservato un vantaggio di sopravvivenza senza progressione del tumore e un vantaggio di qualità di vita rispetto ai pazienti non trattati con lo stesso farmaco.
Gli ultimi dati confermano che il tumore del grosso intestino è la terza causa di mortalità per tumore nell’uomo e nella donna e che si tratta di una neoplasia molto più frequente al Nord che al Sud, ma mentre al Nord l’incidenza aumenta perché probabilmente aumentano le diagnosi precoci, nel Sud aumenta invece la mortalità, al contrario del nord dove la mortalità diminuisce.
Terzo tumore maligno per frequenza e mortalità nei Paesi occidentali, il tumore del colon-retto registra in Italia, ogni anno, circa 20 mila nuovi casi tra gli uomini e 17 mila nelle donne. Nella stragrande maggioranza dei casi, la comparsa è del tutto sporadica (per questo viene chiamato tumore silenzioso), presumibilmente legata a una dieta ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di fibre o a una maggiore esposizione all’inquinamento di aria e acqua. Di conseguenza, alimentazione corretta ed esercizio fisico sono ritenuti fondamentali deterrenti all’insorgere di questa aggressiva neoplasia.
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Prevenzione – Tumore del colon retto
Tumori: principali norme di prevenzione
No al fumo.
Il 25-30% di tutti i tumori sono correlati al consumo di tabacco. Ogni anno, nel mondo, tre milioni di persone perdono la vita a causa del fumo: si calcola che i fumatori muoiano mediamente otto anni prima dei non fumatori. Il tabacco può uccidere in più di venti modi diversi. Numerose e autorevoli ricerche confermano la pericolosità anche del fumo passivo corresponsabile di un aumentato rischio di tumori broncopolmonari e, soprattutto nei bambini, di disturbi allergici e respiratori.
Moderare il consumo di alcol.
Anche il consumo di bevande alcoliche aumenta il rischio di cancro del cavo orale, della faringe, dell’esofago e della laringe. L’abuso di alcolici è fortemente correlato anche all’insorgenza di cancro del fegato e dell’intestino in entrambi i sessi e della mammella nelle donne.
Sì alla dieta mediterranea.
Un maggior apporto di frutta e verdura, specie se crude, ha forte effetto protettivo sul rischio di numerose forme tumorali, in particolare a carico degli apparati digerente e respiratorio. Frutta e verdura svolgono l’azione protettiva grazie all’alto contenuto di fibre (che favorisce la maggior motilità intestinale, impedendo l’assorbimento di eventuali sostanze cancerogene) e all’elevata presenza di sostanze ad azione antitumorale quali le vitamine antiossidanti. In Europa meridionale, dove ancora si segue la dieta mediterranea, povera di grassi animali e carne e ricca di pesce, olio di oliva, verdura, frutta, fibre e cereali, si ha una minor frequenza di tumori degli apparati respiratorio e digerente.
Controllare il peso.
L’obesità o il sovrappeso e l’elevata assunzione di grassi costituiscono altri fattori di rischio. È dimostrato che in persone con un eccesso di peso uguale o superiore al 40%, vi è un aumento di mortalità per cancro del colon-retto, della prostata, dell’utero, della cistifellea e della mammella. Ciò può essere determinato da alterazioni ormonali correlate al sovrappeso.
Occhio all’ambiente.
Il 4% di tutti i tumori maligni è dovuto all’esposizione professionale ad agenti oncogeni. La proporzione di tutti i tumori maligni correlabile all’esposizione lavorativa o ambientale e quindi parzialmente o totalmente evitabile non è trascurabile, anche se difficilmente quantificabile.
Attenti a nei e noduli.
L’autoesame della pelle può rivelare la presenza di nèi e noduli sospetti. Nel caso del tumore al seno l’autoesame e la mammografia riducono drasticamente la mortalità per cancro mammario. Dopo i 40 anni sarebbe opportuno effettuare una mammografia ogni anno. È comunque opportuno, prima dei 50 anni e nel periodo che intercorre fra gli esami, eseguire regolarmente (ogni 2-3 mesi) l’autopalpazione e rivolgersi al medico curante per ogni eventualità. Il pap-test è un altro esame per difendere la salute delle donne dai tumori del collo (o cervice) e anch’esso consente un’altissima probabilità di guarigione.
Eseguite lo screening. Lo screening è un programma di esami medici eseguiti in assenza di sintomi che ha l’obiettivo di individuare la presenza di un eventuale tumore in fase iniziale e poter iniziare immediatamente la cura. Attualmente sono attivi in Italia programmi di screening per tre tipologie di tumori: mammella, cervice uterina e colon-retto.
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Fumo e cancro colon rettale
Il fumo di sigaretta incrementa il rischio di contrarre cancro colon rettale e morire a causa di questa patologia: è quanto sostiene uno studio condotto presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e pubblicato sulla rivista American Medical Association.
Gli studiosi hanno revisionato i dati relativi a 106 studi, valutando ben 40000 casi: sono arrivati a concludere che i fumatori hanno un 18% di probabilità in più di ammalarsi di cancro colon rettale.
I fumatori che contraggono questa patologia hanno il 25% di probabilità in più, rispetto ai non fumatori, di morire a causa di questo tipo di tumore.
Il team di Milano ha suggerito che forse nei fumatori il cancro colon rettale si sviluppa con maggiore aggressività.
I ricercatori ritengono di fondamentale importanza sottoporre i fumatori, prima degli altri soggetti a rischio, sottoporre a test di screening periodici.
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Tumore colon retto nelle donne: obesità peggio del fumo
È un risultato a sorpresa quello che arriva da una ricerca condotta su 1.252 donne e presentata a Philadelphia durante il 72esimo meeting dell’American College of Gastroenterology. Le donne obese sono a rischio di tumore al colon-retto più delle fumatrici.
Nella ricerca si è provveduto a classificare le donne in base all’età, all’abitudine al fumo, alla familiarità e all’Indice di massa corporeo (BMI – Body Mass Index). Benché il fumo risulti un fattore di rischio rilevante, l’obesità (BMI superiore a 30) lo supera: delle pazienti colpite dal tumore colon-rettale, il 20% era obeso a fronte del 14% con il vizio del fumo.
«Dato l’aumento delle persone obese negli Stati Uniti – ha affermato Joseph C. Anderson, autore dello studio, della Stony Brook University di New York e dell’Università del Connecticut – identificarle come ad alto rischio può avere importanti implicazioni per gli screening: se l’obesità è associata a un aumento del rischio di tumore colon-rettale, le donne che riescono a dimagrire possono potenzialmente ridurre il rischio di sviluppare la malattia nel futuro».
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Vitamina B6 fondamentale per prevenire il tumore colorettale
La vitamina B6 riduce il rischio di tumore del colon-retto nelle donne
Di Gastroenterologia.net
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La vitamina B6 ha un ruolo nella prevenzione del tumore del colon-retto. Essa infatti agisce nei processi di sintesi del DNA che, se alterati, possono dar origine alla carcinogenesi a livello colorettale.
Uno studio di popolazione, coordinato da Susanna Larsson del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha esaminato in 61.433 donne sane di età compresa tra 40 e 76 anni l’associazione tra assunzione di vitamina B6 con la dieta e il rischio di tumore del colon–retto.
Inoltre è stato verificato se questa associazione venisse modificata dal consumo di alcol.
Le informazioni sulla dieta sono state ottenute mediante questionari, e il periodo medio osservazionale è stato di 14,8 anni.
Nell’arco di questo periodo sono stati diagnosticati 805 casi di tumore del colon retto: l’assunzione con la dieta di vitamina B6 è risultata inversamente associata a rischio di carcinoma colorettale, con una percentuale di rischio inferiore di ben il 34%.
Questo studio ha dimostrato che la vitamina B6 può avere un ruolo chiave nella prevenzione del tumore colorettale.
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Sintomi – Tumore del colon retto
Non sottovalutare i campanelli d’allarme
Spesso il tumore al colon retto non determina sintomi (soprattutto allo stadio iniziale) e una diagnosi tardiva comporta la diffusione del tumore ad altre parti dell’organismo, con la definizione di metastatico, o avanzato.
Bisogna pertanto prestare attenzione a questi campanelli d’allarme:
• inspiegabile perdita di peso
• dolore all’addome o al retto
• sensazione di non aver vuotato l’intestino in modo appropriato
• cambiamento nelle normali abitudini intestinali (per esempio diarrea o stitichezza) senza un motivo evidente e con durata di più di sei settimane
• presenza di sangue nelle feci (sanguinamento frammisto o emorragico)
• affaticamento.
In particolare, quando compare nella parte sinistra del colon i sintomi sono diarrea, stitichezza e sangue nelle feci, se compare a destra (nella parte più alta del colon) i sintomi sono più vaghi e aspecifici, come l’anemia.
In questi casi, il primo interlocutore deve essere il medico di famiglia, che ricostruirà l’anamnesi del paziente, procederà con l’esplorazione rettale e consiglierà una serie di accertamenti.
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Diagnosi precoce – Tumore del colon retto
Basta un semplice test ogni due anni
Nella maggior parte dei casi, il tumore al colon retto ha origine da una lesione benigna (polipo o adenoma) che per trasformarsi in tumore maligno impiega da 5 a 15 anni, senza che si manifestino sintomi particolari.
È importante individuare le lesioni prima che si trasformino. Il tumore colorettale infatti è un killer subdolo e silenzioso; l’unico segno della sua presenza è un sanguinamento non visibile a occhio nudo ma che può essere evidenziato con un semplice test di laboratorio: la ricerca di sangue occulto nelle feci.
L’esame non richiede preparazione: basta raccogliere un piccolo campione di feci con un apposito bastoncino e inserirlo in una provetta da conservare in frigorifero fino alla consegna (il kit è acquistabile in farmacia). Nei programmi di screening questo test viene consigliato ogni uno-due anni a uomini e donne tra i 50 e i 69 anni.
Qualora l’esame fosse positivo (presenza di sangue nelle feci), occorre sottoporsi a una colonscopia per individuare la causa del sanguinamento, che potrebbe essere un polipo o una lesione tumorale, ma anche, semplicemente, ragadi, emorroidi o diverticoli.
La colonscopia permette al medico di esaminare tutta la superficie interna del grosso intestino. Durante l’esame è possibile asportare piccoli polipi o lembi di mucosa per effettuare una diagnosi più precisa. Solo in presenza di tumore o polipi con particolari caratteristiche sarà necessario effettuare un intervento chirurgico.
In alternativa o a completamento viene indicata anche l’endoscopia digestiva.
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Lo screening non è (ancora) per tutti
Le ricerche hanno mostrato che il 50% delle morti per cancro colorettale possono essere prevenute attraverso screening, controlli e trattamenti oggi disponibili. La tendenza attuale riduce questa prospettiva al 17%: questo significa che molto deve essere ancora fatto per implementare efficaci programmi di screening e incoraggiarne la partecipazione.
Lo screening ha l’obiettivo di diagnosticare il cancro a uno stadio precoce (nei pazienti che non presentano sintomi) quando il trattamento può essere più efficace: screening regolari hanno dimostrato di ridurre il rischio di morte del 16%. Sono disponibili diversi metodi di screening, dall’analisi del sangue occulto nelle al Computed Tomography scans. Lo screening consente di diagnosticare sia polipi, che possono degenerare in cancro, che il cancro stesso.
Secondo il rapporto Il tumore del colon retto in Europa e Australia: sfide e opportunità per il futuro, il primo studio internazionale sulla gestione di questo tipo di tumore, che ha coinvolto 17 Paesi ed è stato realizzato dalla London School of Economics, in Europa solo pochi Paesi hanno programmi di screening formale: l’Italia, con un tasso di partecipazione che va dal 15% al 70%, la Francia, con un 40-55% e l’Inghilterra che conta la massima adesione con un 50-70%.
In questo panorama l’Italia non fa eccezione: programmi di screening con partecipazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale e differenze a livello regionale nell’accesso alle nuove terapie.
«In Italia gli screening di popolazione per questo tipo di tumore sono cominciati da pochi anni e quindi la penetrazione è ancora bassa; più alta sicuramente al nord (70%) rispetto al centro-sud (15%), ma è molto al di sotto rispetto agli screening del tumore alla mammella – afferma Roberto Labianca, Direttore Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Ospedali Riuniti di Bergamo – e come dato nazionale, solo il 30-40% degli eleggibili aderisce allo screening. Regioni di eccellenza sono la Lombardia (con 15 programmi attivati), l’Emilia Romagna (con 11 programmi attivati) e il Veneto (con 17 programmi attivati)».
«Volendo fare un paragone, le regioni del sud Italia mostrano similitudini con i paesi dell’est Europa, mentre le regioni del nord presentano caratteristiche che li accomunano a paesi europei più virtuosi, l’Inghilterra per esempio», aggiunge Francesco Di Costanzo, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze.
Poche campagne di screening e di sensibilizzazione portano a trascurare il problema. «Un recente studio, condotto a Modena dal gruppo del professor Ponz De Leon – sottolinea ancora Di Costanzo – ha messo in evidenza che la popolazione sana è ben informata sull’importanza della prevenzione per il carcinoma della mammella, della prostata e della cervice uterina, ma non sa come prevenire il tumore del colon retto».
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Diagnosi – Tumore del colon retto
Colonscopia: la sedazione serve, ma in Italia è al 50%
Il tumore del colon-retto costituisce nei Paesi occidentali la seconda causa di morte per tumore.
Il modo migliore per contrastarlo è la diagnosi precoce, che permette l’identificazione di lesioni tumorali in fase precoce e la loro immediata asportazione.
L’indagine di riferimento per diagnosticare le malattie del colon è la colonscopia, da eseguire ogni 5 anni a partire dal cinquantesimo anno di età: oggi nel nostro Paese si eseguono circa 500.000 colonoscopie all’anno, e il numero è destinato a crescere in relazione alla sempre maggior diffusione dei programmi regionali di screening del cancro colon-rettale.
Per potenziare l’efficacia della colonoscopia, è fondamentale la sedazione del paziente, che riduce il disturbo e il dolore durante la procedura.
Secondo una recente ricerca, però, in Italia questo metodo viene impiegato solo nel 55% dei casi, contro la quasi totalità in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Lo studio multicentrico e prospettico, condotto dall’Associazione Italiana Gastroenterologi&Endoscopisti Digestivi Ospedalieri (AIGO) su 12.800 conoloscopie, aveva l’obiettivo di valutare la qualità dell’esame in Italia in riferimento con la realtà di altri Paesi.
Dall’analisi deirisultati è emerso che l’utilizzo della sedazione è correlato sia al raggiungimento del cieco (la probabilità di completamento dell’esame), sia al riscontro di polipi (17% di probabilità in più).
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Tumore al colon-retto: una mappa dei centri diagnostici
Oggi il tumore al colon retto rappresenta la terza causa di morte in Italia, dopo quello alla mammella per la donna e al polmone per l’uomo. Per la diagnosi l’esame di riferimento è l’endoscopia digestiva. Ma nonostante l’elevata incidenza di questo tumore, a oggi non esiste un database nazionale dei centri che operano questa tecnica.
Al fine di scattare una fotografia della rete di centri adibiti a questa procedura in Italia, il Presidente della SIED (Società Italiana Endoscopia Digestiva), il professor Enrico Ricci, direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, ha deciso di far partire in questi giorni un vero e proprio censimento di tutti i centri italiani.
Le sezioni regionali SIED, società che annovera in Italia 1900 soci, avranno il compito di erogare un questionario alle singole realtà territoriali, dove non solo gastroenterologi, ma anche chirurghi e infettivologi, praticano l’endoscopia digestiva. L’indagine verrà condotta in collaborazione con altre società scientifiche, quali AIGO e SIGE.
Il questionario, a parte la mappatura anagrafica dei Centri, intende monitorare quantitativamente tutte le attività ambulatoriali di endoscopia in Italia. A tal fine è stato siglato un protocollo con il Ministero. I dati raccolti dal censimento verranno presentati il 30 marzo al Convegno nazionale della Federazione nazionale delle Società scientifiche delle malattie dell’apparato digerente, in presenza del Sottosegretario Ferruccio Fazio.
Il secondo passo dopo il censimento sarà la valutazione delle prestazioni censite a livello nazionale, per far sì che tutti i cittadini italiani, di qualunque regione, possano fruire di un’endoscopia di qualità, secondo i criteri fissati dal manuale redatto nel 2008 dalla Società. Per questo verrà anche promossa un’attività di formazione per coloro che operano nei Servizi di endoscopia digestiva. Infine ci saranno delle verifiche da parte della società scientifica sui vari centri censiti. Chi avrà i requisiti potrà fregiarsi del marchio della società, indicatore di qualità per gli operatori, ma soprattutto per i pazienti che si rivolgeranno ai centri.
Altri obiettivi del presidente: l’estensione a tutte le regioni italiane delle colonscopie come esame preventivo nello screening al colon retto e un progetto per migliorare la comunicazione medico-paziente, che prevede anche la realizzazione di un opuscolo a fumetti per spiegare ai pazienti, esorcizzando le false paure, come ci si prepara alla colonscopia.
I cambiamenti riguarderanno anche la formazione e la selezione dei soci: spazio alla meritocrazia, la commissione che sta preparando il Convegno nazionale del 2009 utilizzerà l’impact factor, il più diffuso metodo per quantificare il livello della produzione scientifica, come criterio oggettivo di valutazione dei responsabili delle sezioni scientifiche e al ricambio generazionale ai vertici della società.
In cantiere anche il progetto CASEL, cioè l’elaborazione di una carta dei servizi elettronica per l’informazione ai pazienti. La richiesta di informazioni al fine di un consenso veramente informato è infatti sempre maggiore, sia dal punto di vista clinico che medico legale.
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Cura e Terapia – Tumore del colon retto
Tre terapie, un’importante novità
Negli ultimi anni è aumentato il numero di tumori, ma è anche diminuita la mortalità, grazie soprattutto a un'informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nelle terapie.
Le opzioni di trattamento per il tumore colorettale, seppur limitate, variano a seconda dello stadio, della dimensione, della posizione e della diffusione del tumore, nonché delle caratteristiche del paziente (stato generale di salute ed età, per esempio). In linea generale le opzioni di trattamento sono:
• chirurgia (resezione): è il trattamento principale dei pazienti nei quali il tumore non è diffuso in altre parti dell’organismo (per esempio fegato e polmoni) e può essere usato in associazione con radioterapia o chemioterapia
• radioterapia: è usata spesso in aggiunta alla chirurgia e alla chemioterapia per ridurre le probabilità di ricadute
• chemioterapia: la chemioterapia post-chirurgica (detta adiuvante) è effettuata se il tumore è in stadio metastatico o per ridurre le probabilità di ricadute; i trattamenti utilizzati sono la capecitabina somministrata per via orale, il 5-FU, l’irinotecan e l’oxaliplatino per via endovenosa
• nuove terapie: l’anticorpo monoclonale bevacizumab è stato approvato per l’utilizzo in associazione con la chemioterapia di prima linea; bevacizumab è il primo trattamento in grado di inibire l’angiogenesi, cioè la crescita di una rete di vasi sanguigni che rifornisce di ossigeno e sostanze nutritive i tessuti tumorali.
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La molecola che taglia i nutrimenti al tumore
Uno dei meccanismi chiave per la crescita dei tumori è l’angiogenesi. L’angiogenesi è la capacità da parte del tumore di promuovere la formazione e la crescita di nuovi vasi sanguigni che consentono al tumore di alimentarsi e di accrescere. È un meccanismo molto importante per alcune tipologie di tumori, tra cui il cancro colorettale, perché svolge un ruolo cruciale nella formazione delle metastasi.
I progressi della ricerca scientifica hanno portato allo sviluppo degli anticorpi monoclonali, farmaci rivoluzionari in grado di inibire questo processo, come bevacizumab, che sono in grado di bloccare lo sviluppo dei vasi sanguigni all’interno della massa tumorale e quindi impediscono al tumore di svilupparsi.
«Bevacizumab è il primo farmaco anti-angiogenesi registrato per uso umano – spiega Roberto Labianca, Direttore Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Ospedali Riuniti di Bergamo – La sua registrazione risale a quattro anni fa sulla base di uno studio americano che confrontava l’utilizzo della sola chemioterapia con la combinazione chemioterapia + bevacizumab. I risultati dimostrarono che i pazienti con metastasi trattati con bevacizumab presentavano benefici significativi in termini di sopravvivenza e di risposta al farmaco (consistente riduzione della massa tumorale) con un buon profilo di tossicità».
Come agisce questo farmaco? Durante i processi di neoformazione di vasi sanguigni (vasculogenesi e angiogenesi), una proteina, chiamata fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), stimola la crescita, la sopravvivenza e la riparazione dei vasi sanguigni. Il tumore rilascia la proteina VEGF, che dà inizio alla crescita dei nuovi vasi sanguigni essenziali per un’ulteriore crescita del tumore e per la sua metastatizzazione.
Il VEGF favorisce la crescita del tumore attraverso tre meccanismi chiave: stimola l’angiogenesi, favorisce la sopravvivenza dei vasi e ne aumenta la permeabilità.
Bevacizumab agisce legandosi al VEGF e bloccando in questo modo il segnale dell’angiogenesi. In questo modo si riduce la vascolarizzazione del tumore, impedendone la crescita.
Così come il VEGF favorisce la crescita del tumore in tre modi, così anche bevacizumab lo colpisce in tre punti chiave: regressione dei vasi sanguigni neoformati, normalizzazione dei vasi sanguigni rimanenti, blocco della crescita dei nuovi vasi sanguigni.
Bevacizumab è stato approvato dalla FDA per l’uso del tumore del colon retto avanzato o metastatico nel febbraio 2004, e successivamente dall’EMEA a gennaio 2005.
Nel gennaio 2008 la Commissione Europea ne ha approvato l’utilizzo nel tumore del colon retto in combinazione con qualsiasi tipo di chemioterapia, compresa la capecitabina orale, non solo per il trattamento di prima linea, ma anche nei cicli di trattamento successivi.
Attualmente lo si sta studiando anche per la fase adiuvante, cioè subito dopo l’intervento chirurgico. Ha anche indicazione per il tumore della mammella, del rene e del polmone in fase avanzata.
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La chemioterapia che va dritta al bersaglio
Negli ultimi anni si sono compiuti notevoli passi in avanti sia con la chemioterapia classica sia con quella innovativa. Una delle novità più interessanti è senza dubbio la cosiddetta chemioterapia target o capecitabina.
«Capecitabina è il primo farmaco chemioterapico orale per il trattamento del tumore del colon retto, della mammella e dello stomaco – spiega Francesco Di Costanzo, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze – Per il trattamento del tumore del colon retto viene usata in combinazione con altri chemioterapici (Oxaliplatino, Irinotecan) in tutte le linee di trattamento. La capecitabina colpisce in maniera selettiva le cellule tumorali attraverso la trasformazione nel metabolita attivo, 5-fluorouracile, che attacca il DNA».
Il meccanismo d’azione è quello di somministrare un pro-farmaco (capecitabina) per via orale, che viene trasportato direttamente all’interno delle cellule tumorali ove si trasforma in fluorouracile.
Per questo viene definita chemioterapia target: il farmaco aumenta la propria attività proprio all’interno della cellula bersaglio e riduce così gli effetti collaterali alle cellule sane circostanti.
«In termini di efficacia, rispetto alla chemioterapia standard (terapia endovenosa con 5-fluorouracile/leucovorin) questo farmaco ha dimostrato in monochemioterapia di avere ottimi risultati nella terapia adiuvante (terapia post-chirurgia) – afferma l’esperto – Ha dimostrato di essere efficace come il 5-FU in terapia adiuvante e in fase avanzata, sia in monoterapia che in combinazione».
Lo schema terapeutico prevede l’assunzione due volte al giorno, a colazione e a cena, per due settimane, con un periodo di riposo di una settimana. Questo schema consente una copertura continua di chemioterapico che mima l’azione del fluorouracile in infusione continua.
Questo consente di ridurre notevolmente gli inconvenienti legati alla tradizionale terapia endovenosa con fluoro ed evita al paziente l’inserimento del catetere venoso centrale (CVC), un dispositivo in materiale plastico biocompatibile, inserito sotto pelle a livello del torace, e che può essere lasciato in sede anche per mesi o anni dalla fine della terapia, fino a eventuale ricaduta.
Non necessitando di inserimento di CVC, capecitabina riduce l’insorgenza degli effetti collaterali a esso collegati, complicanze infettive locali, tromboflebiti, nonché il continuo ricorso alla struttura ospedaliera per il lavaggio e la disinfezione di routine.
Inoltre la capecitabina garantisce un migliore profilo di tollerabilità: meno effetti collaterali, soprattutto per quanto riguarda neutropenia, perdita di capelli, nausea, vomito e astenia. Senza dimenticare poi la semplificazione della terapia: grazie alla formulazione in compresse, può essere facilmente assunta dai pazienti a domicilio, con un evidente beneficio in termini di qualità della vita (sia per i disagi e i rischi evitati, sia per i notevoli risvolti psicologici) ma anche un considerevole risparmio di spesa per il Sistema Sanitario Nazionale (meno ospedalizzazioni, minori costi di somministrazione, minori costi dovuti al trattamento degli effetti collaterali). In Italia si stima che tale risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale potrebbe ammontare a circa 60 milioni di euro potenziali all’anno.
Nel 2001 è stata autorizzata come trattamento di prima linea in monoterapia per il tumore metastatico del colon retto nella maggior parte dei paesi (compresi USA ed Unione Europea). Nel 2005 l’EMEA e l’FDA l’hanno approvata per il trattamento adiuvante del tumore del colon (dopo l’operazione chirurgica). Nel 2007 è arrivata l’indicazione nel tumore gastrico avanzato di prima linea, in combinazione con trattamenti a base platino.
Virus biotech uccide cellule cancro colon rettale
Novità per la cura del cancro colon-rettale. Attraverso una studio sperimentale del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York è stato modificato geneticamente un virus che è in grado di distruggere le cellule di questo tipo di neoplasia.
Il virus si chiama NV1020 ed è la forma geneticamente modificata dell’oncolytic Herpes simplex virus(oHSV). Virus di questo tipo uccidono selettivamente le cellule del cancro mentre risparmiano il tessuto normale e sono considerati la nuova strada per le terapie contro i tumori.
La terapia basata su questo virus ha dato risultati positivi anche in pazienti che avevano resistito alla classica chemioterapia. Il passo successivo adesso e’ per i ricercatori ”usare le dosi multiple del virus poiché studi preclinici indicano che questi virus funzionano meglio se usati in dosi maggiori.
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Vitamina D per meglio sopravvivere al cancro colon-rettale
I pazienti per i quali si diagnostica cancro colon-rettale con elevati livelli ematici di vitamina D, hanno meno probabilità di morire durante il follow-up rispetto ai pazienti con scarsi livelli di vitamina D: è quanto sostiene uno studio condotto presso il Cancer Institute di Boston.
I ricercatori hanno scelto 304 pazienti per i quali fra il 1991 e il 2002 è stata fatta diagnosi di cancro al colon e li hanno seguiti fino alla morte o fino al 2005: in questo intervallo temporale 123 pazienti sono morti, 96 a causa del cancro al colon o colon rettale.
I pazienti con elevati livelli di vitamina D hanno il 48% di probabilità in meno di morire rispetto a chi ha bassi livelli di vitamina D; in particolare elevati livelli di vitamina D riducono del 39% la probabilità di morire per cancro al colon.
Precedenti studi avevano dimostrato che elevati livelli di vitamina D riducono il rischio di sviluppare cancro colon rettale: sono necessari ulteriori studi per meglio definire il ruolo della vitamina D in questo tipo di cancro.
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Dieta – Tumore del colon retto
Cinque semplici regole
Prevenire il cancro attraverso l’alimentazione è possibile e diventa fondamentale, vista la conferma degli studi che il 30% dei tumori nasce a tavola. Ecco cinque semplici regole:
1. Diminuire la quantità di calorie giornaliere e mantenersi snelli. Moltissimi studi hanno dimostrato quanto la longevità sia inversamente proporzionale alla quantità di calorie assunte, purché ovviamente si scelga un’alimentazione ricca ed equilibrata. Ciò significa che si vive di più se si mangia di meno e se si limitano le bevande zuccherate.
2. Ridurre il consumo di carni, soprattutto quelle rosse. Le carni rosse infatti aumentano il rischio di sviluppare il cancro del colon e contengono anche enormi quantità di grassi. Non bisognerebbe mangiare carne più di due o tre volte alla settimana e dovrebbe essere sostituita da pesce o legumi, oppure da latticini e uova.
3. Evitare gli alimenti che contengono sostanze cancerogene. Per ottenere questo risultato basta limitare i cibi marinati, affumicati, fritti, eleborati a livello industriale e carni rosse. Evitare anche i cibi contaminati da muffe e ridurre il consumo di sale a non più di cinque grammi al giorno. Sì all’alcol contenuto nel vino rosso e in quantità moderata.
4. Privilegiare la diversità degli alimenti, specie di quelli vegetali e la regolarità del consumo: ciò che è importante è la costanza. Tra i cereali meglio scegliere quelli integrali.
5. Ricordare che nessun supplemento alimentare ha la stessa efficacia della sostanza contenuta nell’alimento naturale, perché in molti casi l’effetto benefico è regolato da una sinergia tra diversi composti che la natura ha selezionato.
Il tè verde dimezza i rischi di cancro al colon
I polifenoli, gli antiossidanti dei quali è ricco il tè verde, sono considerati utili per proteggere l’organismo sia contro il cancro sia contro le malattie cardiache.
Una nuova conferma arriva da un recente studio cinese che ha riportato i benefici derivanti dal regolare consumo di tè verde in relazione allo sviluppo di cancro al colon-retto.
Questo tipo di tumore colpisce nel mondo circa un milione di persone e che è collegata a cattive abitudini alimentari, alla scarsa attività fisica e all’invecchiamento della popolazione.
Lo studio è stato condotto su un campione di 70.000 persone tra i 40 e i 70 anni. il consumo regolare di te verde a parita di altre condizioni riduce del 37% il rischio di cancro al colon-retto.
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La carne rossa può aumentare il rischio di tumore colorettale
La cottura ad alte temperature della carne rossa produce amine eterocicliche ed idrocarburi aromatici policiclici potenzialmente cancerogeni.
A sostenerlo è uno studio del National Cancer Institute statunitense, che ha valutato la relazione tra carne rossa e rischio di adenoma del colon-retto in 3.696 casi di adenoma del lato sinistro e 34.917 controlli risultati negativi all’endoscopia.
L’assunzione con la dieta è stata valutata utilizzando un questionario.
L’assunzione di carne rossa è risultata associata ad un aumentato rischio di adenoma del colon discendente ma non dell’adenoma del retto. Inoltre è stata trovata un’associazione tra maggiore assunzione di pancetta affumicata e di salsiccia e il rischio di adenoma colorettale.
Questo studio ha mostrato che la carne rossa e la carne rossa cotta ad alte temperature sono associate ad un aumentato rischio di adenoma del colon-retto.
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Yogurt e formaggio alleati anticancro
Via libera a yogurt e formaggio: potrebbero essere validi alleati nella lotta contro alcuni tumori.
Le donne che consumano latticini hanno il 23% in meno di probabilità di sviluppare il cancro. Per gli uomini invece la probabilità si riduce del 16%.
Questo il risultato di uno studio americano del National Cancer Institute e pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine.
I ricercatori hanno sottoposto circa 500.000 persone a un questionario, con domande sulla loro dieta. Di tutti i casi analizzati, 36.965 uomini e 16.605 donne si sono ammalati di cancro.
Gli uomini che hanno consumato circa 1.530 milligrammi al giorno di calcio hanno la probabilità di ammalarsi ridotta del 16%, rispetto a coloro che ne avevano consumati in media 526 milligrammi giornalieri.
Percentuale ridotta del 23% per le donne che hanno consumato circa 1.881 milligrammi giornalieri. La diminuzione ha interessato soprattutto il cancro al colon.
Arance contro i tumori
Nell’elenco dei frutti più preziosi per la salute, gli agrumi rivestono senza dubbio un posto di rilievo, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione nei confronti dei tumori.
Questi vegetali, e in particolare le arance, sono infatti ricchissimi di flavonoidi e terpeni, due sostanze dalle importantissime proprietà terapeutiche.
Il merito dei terpeni, come il limonene contenuto nella buccia di arance, pompelmi e limoni, è quello di provocare una diminuzione nella produzione di estrogeni, ormoni responsabili della possibile insorgenza di tumori della mammella.
I flavonoidi, come la vitamina P, sono invece in grado di prevenire e contrastare l’insorgenza di tumori del colon e del retto, della bocca e della laringe.
Non è un caso, dunque, se una delle più importanti associazioni italiane attive in campo oncologico, l’Airc, ha scelto come pianta-simbolo proprio l’arancia rossa: l’efficacia degli agrumi nel contrastare queste gravissime patologie non è solo una credenza, ma un’evidenza scientifica provata da ben 48 studi internazionali.
I risultati di queste ricerche sono stati recentemente presi in analisi da uno studio australiano, condotto dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO), che ha stabilito che arance, pompelmi e mandarini, se consumati tutti i giorni all’interno di un’alimentazione ricca di frutta e verdura, riducono del 50% il rischio di sviluppare alcuni tumori del tratto digestivo e del 19% il rischio di ictus.
Gli antiossidanti contenuti negli agrumi, inoltre, inibiscono la crescita delle cellule tumorali, fortificano il sistema immunitario e possono ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, obesità e diabete.
Le arance contengono infatti più antiossidanti di qualsiasi altro frutto: ben 170 diversi componenti fitochimici e più di 60 flavonoidi, che hanno mostrato proprietà antinfiammatorie, antitumorali e anticoagulanti, quindi efficaci nell’inibire la formazione di trombi.
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Glossario per Tumore del colon retto – Enciclopedia medica Sanihelp.it
– Polipo
Farmaci
– LEDERFOLIN*EV 1FL LIOF 175MG
– LEDERFOLIN*INFUS 1FL 100MG
– OXALIPLATINO RAT*EV 1FL 100MG
– OXALIPLATINO RAT*EV 1FL 150MG
– OXALIPLATINO RAT*EV 1FL 50MG
Tag cloud – Riepilogo dei sintomi frequenti
affaticabilità
disturbi dell’alimentazione
sangue dall’ano
spasmo doloroso dell’ano
tensione dolorosa dell’ano
anoressia
diminuzione dell’appetito
disturbi dell’appetito
aritmia
astenia
batticuore
alterazioni del battito cardiaco
accelerazione del battito
bisogno continuo e urgente di defecare
bubboni
cardiopalmo
colorito livido
costipazione
aumento del ritmo del cuore
debolezza
disturbi della defecazione
stimolo doloroso alla defecazione
diarrea
dimagrimento
dissenteria
ematemesi
ematochezia
emorragia
emorragia gastrointestinale (proctorragia, ematochezia)
esauribilità
disturbi della evacuazione
mancanza della fame
febbre
feci scure
difficoltà di espulsione delle feci
espulsione dolorosa delle feci
presenza di muco nelle feci
presenza di sangue nelle feci
mancanza delle forze
aumento della frequenza cardiaca
ingrossamento zona ghiandolare
inappetenza
ipertermia
ingrandimento dei linfonodi
livore
lombaggine
lombalgia
dolore lombare
melena
pallore
palpitazioni
dolore alla pancia
calo di peso
irregolarità del polso
proctorragia
pulsazioni veloci
aumento delle pulsazioni
irregolarità delle pulsazioni
rachialgia
spasmo doloroso del retto
alterazioni del ritmo cardiaco
aumento del ritmo
sanguinamento
sbiancamento
dolore alla schiena
sciolta
snellimento
spossatezza
stanchezza
stipsi
stitichezza
sangue dallo stomaco
tachicardia
innalzamento della temperatura
dolore al ventre
flusso di ventre
sangue nel vomito