Sanihelp.it – E vissero insieme felici e contenti per quindici anni: questa dovrebbe essere la nuova conclusione della moderna fiaba del matrimonio. A sostenerlo gli ultimi dati Istat sulle separazioni e sui divorzi. In Italia nel 2010 si sono registrati 88.191 separazioni e 54.160 divorzi. E la durata media del matrimonio è di 15 anni per le separazioni e 18 anni per i divorzi. La tipologia di procedimento preferita dai coniugi è quella consensuale: nel 2010 si sono così conclusi l'85,5% delle separazioni e il 72,4% dei divorzi.
Come leggere questi dati? Abbiamo chiesto aiuto alla dottoressa Michela Rosati, psicologa e psicoterapeuta a Terni, specializzata in psicoterapia cognitivo comportamentale (www.michelarosati.it).
«Il dato che evidenzia l’aumento delle separazioni e dei divorzi può essere spiegato prendendo in considerazione vari aspetti. È innegabile ad esempio che la pressione sociale nei confronti di chi fa o subisce una simile scelta si è molto allentata, lo stigma legato al divorzio è ormai un fenomeno quasi del tutto superato, le persone non si sentono più etichettate per aver interrotto un matrimonio. Anche i bambini, figli di separati o divorziati, non vengono più visti come diversi o portatori di particolari traumi. Il concetto di famiglia sta lentamente, ma inesorabilmente, cambiando nel nostro Paese, ammettendo forme anche molto diverse da quelle tradizionali, per cui quella che non molti anni fa sarebbe stata considerata una situazione limite, ad esempio una madre divorziata che vive con i figli e con un nuovo compagno, magari a sua volta separato e con figli, oggi non fa più notizia.
I dati ci dicono che l’età media alla separazione è di circa 45 anni per i mariti e di 42 per le mogli; in caso di divorzio si raggiungono, rispettivamente, 47 e 44 anni. Potremmo ipotizzare che anche a causa di un generale spostamento in avanti delle tappe fondamentali di vita, proprio intorno a questa età, in genere, le persone sentono di aver trovato una stabilità e una propria strada. Da un lato infatti, dopo una crescita (seppur minima in questo periodo storico) personale e professionale percepiscono il divorzio come affrontabile anche sul piano pratico e dall’altro si sentono ancora giovani e desiderosi di un maggiore appagamento dal punto di vista sentimentale e sessuale.
Potremmo dilungarci in una sequenza infinita di possibili spiegazioni relative a questa evidente crisi dei rapporti, a partire dall’analisi delle motivazioni personali che portano al matrimonio: molti dei miei pazienti ritengono infatti di aver preso con maggiore consapevolezza, attenzione e riflessione, la decisione di separarsi piuttosto che quella di sposarsi.
Ad ogni modo, la separazione e il divorzio non sono mai situazioni indolori, né per chi lascia, né per chi viene lasciato. Alcuni studiosi ritengono che si tratti di uno degli eventi più stressanti dell’intera esistenza. Anzi, più che di evento parlerei di percorso, visto che le tappe difficili e problematiche da affrontare sono molte e in genere procurano grande sofferenza.
Come per qualunque altra esperienza, ogni persona reagisce in maniera diversa di fronte al divorzio o alla separazione. I sentimenti di abbandono e di lutto, la paura di non aver fatto la scelta giusta e di aver mandato all’aria un progetto di vita sul quale si era investito per anni, il senso di colpa e di risentimento, che si avvicendano vorticosamente nei confronti del partner, e la questione spinosa dei figli, sono solo alcuni degli elementi destabilizzanti che richiedono un lungo lavoro di elaborazione, prima che la persona possa recuperare un nuovo equilibrio, riadattandosi alle mutate condizioni. A volte poi, le cose si complicano a tal punto che le cause di divorzio diventano vere e proprie guerriglie e l’ex-coniuge il nemico da battere con ogni mezzo.
Uno dei massimi esponenti della ricerca in questo campo, John Gottman, ritiene che, osservando i comportamenti delle coppie, sia possibile individuare precocemente quelle che finiranno per divorziare e quelle che invece rimarranno insieme. Alcuni di questi segnali predittivi della rottura sono ravvisabili in modalità disfunzionali di relazionarsi al partner (ad esempio quando si utilizza il sarcasmo, il cinismo, gli insulti, lo scherno), nell’incapacità di allentare la pressione e riparare in qualche modo ai conflitti (chiedendo scusa, facendo un atto di gentilezza, cercando di non trascendere) e nel continuare a discutere su questioni del passato mai dimenticate o perdonate (un tradimento, fatti relativi alle rispettive famiglie di origine)».
Come fare allora? «Anche se non esiste una ricetta salva-coppia valida per tutti, in generale sento di poter dire che i rapporti di coppia più soddisfacenti non sono quelli senza ombre o crisi, ma quelli in cui entrambi i partner hanno la voglia e la capacità di impegnarsi nella loro relazione, considerandola una priorità a cui dedicarsi praticamente ogni giorno della propria vita. Questo comporta in primis una visione realistica sia del proprio compagno, sia della natura del rapporto stesso, interpretando quindi i cambiamenti come fatti naturali e non eccezionali. Se non si è disponibili ad accettare delle fasi, dei passaggi, che richiedono costanti rimodellamenti, rimanendo invece rigidamente e nostalgicamente attaccati a un’illusione ormai caduta, cercando solo di ripristinare l’antica felicità, senza avere un approccio curioso, creativo e responsabile nei confronti del superamento della crisi, si rischia davvero che il rapporto si frantumi per sempre.
È chiaro, infine, come in alcuni casi restare insieme per forza sia sicuramente più disfunzionale che lasciarsi: non tutti i matrimoni che durano, infatti, sono da considerare relazioni sane. A volte non ci si separa solo perché ci si sente incapaci di affrontare un periodo stressante, oppure una fase di solitudine, oppure per motivi meramente economici. Senza considerare la violenza che spesso si cela dietro apparenze rassicuranti: sappiamo bene, purtroppo, che i maltrattamenti psicologici e fisici su donne e bambini sono massimamente perpetrati in ambito familiare».