I disturbi del comportamento alimentare si dividono in tre categorie: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata.
In questa sede prenderemo in esame il primo. L’anoressia nervosa, manuale medico alla mano, «è caretterizzata da una inesorabile ricerca della magrezza, da una paura patologica dell’obesità, dal rifiuto di mantenere un peso corporeo entro i valori minimi normali, e, nelle donne, da amenorrea>.
L’anoressia nervosa grave è piuttosto rara: compisce meno dello 0,5% della popolazione generale. Tuttavia, la maggior parte dei casi lievi non viene diagnosticata.
A soffrire di anoressia nervosa sono soprattutto le donne (95%), anche se negli ultimi anni si sta registrando un numero crescente di casi in cui i malati sono di sesso maschile.
L’esordio dell’anoressia nervosa si verifica generalmente nel corso dell’adolescenza, ma la sua origine resta sconosciuta.
Oltre all’appartenenza al sesso femminile, esistono però una serie di fattori considerati predisponenti.
Uno di essi è il condizionamento culturale. Nella moderna società occidentale, la repulsione per l’obesità e il sovrappeso è proporzionale solo alla loro diffusione esponenziale.
Paradossalmente, anche se diventiamo sempre più grassi, tendiamo a considerare l’eccesso di peso un difetto sempre più grave, poco attraente e (giustamente) dannoso per la salute.
Da qui, però, il dilagare del desiderio di essere magri, anche tra i bambini. Basti pensare che più del 50% delle ragazze prepuberi segue una dieta o adotta altre misure per il controllo del peso. Un’eccessiva preoccupazione per il peso corporeo, e una storia di regimi dietetici sbilanciati, sembrano essere predittivi di un maggiore rischio, potenzialmente in persone geneticamente predisposte a sviluppare l’anoressia nervosa.
Molti pazienti appartengono alle classi socioeconomiche medie o elevate; sono meticolosi, compulsivi, intelligenti, e presentano standard molto alti di realizzazione e di successo. Eppure mettono in atto, più o meno coscientemente, un pericolosissimo meccanismo di autodistruzione.
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Le riviste che pubblicano diete improvvisate, o informazioni scorrette in fatto di alimentazione, raddoppiano negli adolescenti le possibilità di sviluppo di un controllo ossessivo del peso negli, e triplicano il rischio di abitudini estreme quali vomito indotto e uso di lassativi.
A sostenerlo è lo studio statunitense EAT (Eating Among Teen), pubblicato sulla prestigiosa rivista Pediatrics.
Per valutare l’impatto sui più giovani delle letture inattendibili in merito al peso, i ricercatori hanno valutato l’associazione tra la lettura da parte degli adolescenti di riviste che riportano articoli sulla dieta e la perdita di peso, e lo sviluppo di comportamenti non salutari per il controllo del peso.
Più di 2500 giovani delle scuole medie sono stati reclutati nel 1999 e, sia all’inizio sia al termine (nel 2004) dell’indagine, hanno compilato un questionario informativo e riportato i valori di peso e altezza.
Dai dati è emerso che nelle ragazze, ma non nei ragazzi, la lettura di magazine che danno consigli su dieta e alimentazione non supportati da reali concetti nutrizionali è associata allo sviluppo di un controllo ossessivo del proprio peso.
In particolare, comportamenti per il controllo del peso come il digiuno, il salto dei pasti e fumare molte sigarette sono 2 volte più frequenti nelle lettrici più assidue, nelle quali il rischio di anoressia e bulimia aumenta di circa 3 volte rispetto alle coetanee meno interessate a certe riviste.
Gli esperti hanno chiarito che è possibile che non sia la lettura a influenzare i comportamenti delle giovani, ma piuttosto il contrario, cioè che ragazze particolarmente ossessionate dal proprio aspetto ricerchino sui giornali nuovi metodi per dimagrire. Tuttavia, è necessaria una maggiore attenzione da parte dei media che sempre più spesso propongono modelli di eccessiva magrezza e consigli dietetici senza alcun fondamento.
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Una ricerca del gruppo del professor Salvatore Maria Aglioti, condotta a Roma presso la Fondazione Santa Lucia e il Dipartimento di Psicologia dell’Università La Sapienza, ha dimostrato che il riconoscimento dell’individualità del corpo è affidata alla Extrastriate Body Area (EBA), mentre le informazioni su ciò che il corpo sta facendo sono elaborate dalla Corteccia Premotoria Ventrale (cPMv).
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature Neuroscience aiuterà anche a comprendere le alterazioni dell’immagine corporea, tipiche dell’anoressia. Chi soffre di questo disturbo ha un’alterata percezione e rappresentazione del proprio corpo: una persona si vede e si percepisce, infatti, come soprappeso anche se è oggettivamente denutrita e drammaticamente magra.
«Una maggiore conoscenza delle strutture corticali implicate nella codifica dei diversi aspetti del corpo», sottolinea il professor Aglioti, «può contribuire, almeno in teoria, alla definizione di piani riabilitativi più efficaci contro le patologie che comportano un’alterata rappresentazione del proprio corpo in ambito neurologico e psichiatrico, l’anoressia è il caso più famoso ma ce ne sono tanti altri».
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L'anoressia potrebbe essere favorita da disfunzioni nei circuiti di appagamento e del piacere, aree del cervello legate anche all'abuso di sostanze; queste alterazioni potrebbero spiegare tutti i principali sintomi della malattia.
A dimostrarlo è uno studio dell'equipe di Walter Kaye della University of Pittsburgh, il primo con la tomografia a emissione di positroni (PET) per confrontare donne con un passato di anoressia e donne sane.
Secondo le analisi, le donne che hanno sofferto di anoressia hanno i recettori dopaminergici troppo attivi, indipendentemente da fattori quali età, peso, tempo trascorso dalla fase acuta della malattia.
Secondo gli psichiatri queste alterazioni sono in perfetto accordo con i sintomi ricorrenti nell'anoressia, quali l'incapacità di provare appagamento nel cibo e di avvertire la minaccia che grava sulla propria salute a causa dei digiuni ripetuti.
Disfunzioni del sistema dopaminergico potrebbero inoltre spiegare perché le ragazze anoressiche spesso sono incapaci di provare emozioni positive in seguito a stimoli che innescano positività nelle persone sane.
È probabile che almeno in parte queste alterazioni abbiano un'origine genetica, ma per saperne di più sono necessarie ulteriori ricerche incentrate sull'osservazione dei geni per i recettori dopaminergici.
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Già a rischio a dieci anni. È questa, secondo il decimo rapporto annuale dell'Osservatorio adolescenti Sip, l'età in cui l'anoressia inizia a minacciare le ragazzine di oggi, perseguitate dal mito delle top model pelle e ossa.
Non è un caso se alle medie il 60,4% vorrebbe essere più magra, una su quattro ha già sperimentato una dieta e il 32% si è rivolta a un medico per farsela prescrivere.
I dati provengono da un'indagine condotta su 1.251 ragazzini fra i 12 e i 14 anni, e mettono in luce un quadro allarmante che necessita di provvedimenti urgenti.
In primo luogo da parte dei genitori, che spesso dimostrano scarsa attenzione verso l'alimentazione dei figli, ma anche da parte della scuola, che dovrebbe dotarsi al più presto di programmi di prevenzione ad hoc anche nelle fasce d'età finora considerate fuori pericolo, come quella tra i 9 e i 12 anni.
Per evitare altre morti inutili, come quella dell'indossatrice scomparsa a vent'anni per eccessiva magrezza, occorre più che un semplice sguardo sul problema.
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In Italia, stando all'ultimo rapporto Eurispes, circa due milioni di giovani tra i 12 e i 25 anni, soffrono di disturbi del comportamento alimentare, dall'anoressia alla bulimia fino al bing eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata).
Per affrontare concretamente il problema, è operativa da ieri la campagna informativa e di prevenzione Alimentare l’autostima: disordini alimentari togliete il disturbo, promossa dal Moige e con il contributo del Ministero della Solidarietà Sociale al fine di sensibilizzare i ragazzi sui disturbi del comportamento alimentare, ossia sull’alterato rapporto tra cibo e proprio corpo.
La campagna, di portata nazionale, consiste in una mostra itinerante ospitata all’interno di un bus, che visiterà le scuole medie inferiori di 12 province italiane offrendo agli studenti un tour guidato di circa 25 minuti. Ai circa 4.700 ragazzi coinvolti nella campagna verranno consegnati poster e opuscoli che serviranno loro da promemoria e potranno sensibilizzare anche famiglie ed insegnanti in merito ai disturbi del comportamento alimentare e le loro conseguenze.
«Questa nuova campagna di sensibilizzazione», spiega Maria Rita Munizzi, presidente del Moige «mira a chiamare a una presa di responsabilità tutti gli attori sociali, a partire dai genitori e dalla scuola ma senza dimenticare il mondo dei media e della moda. È necessario fare più informazione su questi problemi, ed evitare accuratamente di fornire ai minori modelli e canoni estetici fuorvianti e pericolosi per la loro salute psicofisica».
Il tour per combattere i disordini alimentari, dopo la partenza da Milano, toccherà Como, Bologna, Pescara, Isernia, Mola di Bari, Taranto, Salerno, Avellino, Caserta, Napoli e Roma. Per conoscere tutte le date, è possibile consultare il calendario completo su www.moige.it
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La colpa non è della moda, ma della globalizzazione
Gambe sottili e traballanti sui tacchi, corpi gracili e ossuti, visi scavatissimi: siamo abituati a vederle così, le indossatrici e le modelle che popolano le passerelle degli stilisti e le copertine delle riviste patinate. Fanatiche della dieta? Vittime di una malattia? Succubi del sistema? O solo tremendamente fortunate in fatto di metabolismo? È la domanda che tutti, soprattutto noi donne, ci facciamo da sempre.
Si parla da decenni della possibile influenza dei modelli mediatici sulla diffusione dei disturbi alimentari tra le giovani e giovanissime che, pur di assomigliare alla top model di turno, si danno allo sciopero della fame e finiscono per ammalarsi.
Ma sta davvero negli imperativi della moda e dei mass media l’origine dei più temuti disturbi del comportamento alimentare? Il fenomeno di emulazione sta prendendo ancora piede tra le ragazze di oggi? E fino a che punto le anoressiche possono considerarsi fashion victims?
Abbiamo girato queste domande al dottor Matteo Mugnani, esperto di Anoressia, Bulimia e Disturbi del Comportamento Alimentare.
«È sotto gli occhi di tutti che la moda esalta la magrezza, ma sarebbe riduttivo pensare che questo sia il solo movente di patologie così gravi e complesse, che trovano invece il loro fulcro nelle dinamiche familiari e relazionali. È altrettanto vero che in alcuni paesi l'esaltazione della magrezza ha assunto livelli superiori a quanto il buon senso e l'etica sopportino, cosa che ha imposto recentemente l'introduzione di misure giuridiche che limitano tali comportamenti (come in Inghilterra pochi anni fa).
Il fatto che molte adolescenti vivano con disagio il senso di esclusione che proviene da questo mercato della magrezza estrema non è ascrivibile al mercato stesso, quanto alla mancanza di strumenti sociali e culturali che filtrino queste informazioni.
In altri termini, possiamo parlare di un fenomeno di globalizzazione che sta cercando di imporre un modello unico di femminilità valido ed esteticamente attraente in tutti i paesi del mondo (una bellezza globale, appunto, come fu per la Barbie), che oggettivamente assomiglia più alla struttura delle asiatiche o delle russe (o di chi è ricorso drasticamente al bisturi chirurgico!). Però non si può pensare che, siccome il modello estetico veicolato dalla Barbie era di carnagione bianca, questo abbia aumentato il razzismo verso le donne di colore!
Dunque non c'è per forza un nesso causale tra l'esaltazione di una certa magrezza e l'innescarsi dell'anoressia. Anche perché, se così fosse, allora, essendo globale il mercato della moda, dovrebbe essere globale anche il fenomeno dell'anoressia, fatto non vero, visto che in alcune parti del pianeta il problema non esiste.
La ricerca psicologica delle cause ci porta dunque altrove. E la storia altrettanto, se è vero che famose anoressiche furono l'imperatrice Cleopatra d'Egitto (3.000 anni fa) o Santa Caterina da Siena, patrona d'Italia, in tempi in cui il mercato e il concetto della moda non esistevano affatto!
La frequente e impropria tendenza ad attribuire al settore della moda l'origine (o una forte concausa) dell'anoressia nasce da una confusione di fondo tra ciò che perseguono rispettivamente: l'anoressia, il settore della moda, e una patologia poco nota (la pulcheropatia), diversa dall'anoressia e, al contrario di questa, molto influenzata dalla moda».
Anoressia: l'ideale dello scheletro, della sparizione, della morte
«L'anoressia non punta all'ideale della magrezza (che indubbiamente pervade il settore mass-mediatico), ma alla sparizione del corpo, cioè all'eliminazione dal corpo di tutta la carne e delle sue funzioni vitali. In altre parole l'anoressia punta alla morte, che è cosa incompatibile ed estranea rispetto alla magrezza.
L'anoressia infatti non cerca un ideale reperibile in una certa taglia di abiti (40, 38, o meno), e non cerca nemmeno un certo numero di chili sulla bilancia: la taglia o il numero di chili non è mai sufficientemente basso e il soggetto anoressico, anche quando raggiunge taglie o pesi bassissimi, si vede ancora grasso e vuole continuare a scendere di peso, spostando sempre più in basso il suo ideale, fino a renderlo pari allo zero assoluto.
L'anoressia non è dunque un territorio abitato dal concetto di numero o di misura, di peso o di forma corporea, come invece è il settore moda; l'anoressia porta fuori dal sistema della quantità, porta fuori da ogni scala di misurazione, l'ideale anoressico è lo scheletro».
La moda: magre sì, ma non anoressiche «Non c'è dubbio che la moda esalti e osanni la magrezza, alzandola sopra quel piedistallo che è la passerella delle sfilate, ma l'ideale della magrezza non rappresenta mai la morte o la cancellazione assoluta del corpo e della carne. Se ci sono stati dei casi isolati di stilisti che hanno mostrato corpi inequivocabilmente anoressici (magari negli anni '80), questi vanno denunciati e criticati come eccezioni che non rappresentano il messaggio generale del settore moda, in cui peraltro al centro dell'attenzione resta l'abito, prima del corpo.
Il settore moda inoltre oggi espone l'ideale della magrezza come standard di una globalizzazione del modello estetico femminile (come già avvenne per la Barbie), anche perché si sta sbilanciando verso quei nuovi mercati (Cina, Russia e paesi dell'Est in genere) in cui, per motivi genetici, i corpi femminili sono costituzionalmente molto magri: per esempio le ragazze (e dunque anche le modelle) cinesi o russe hanno costituzionalmente un bacino molto stretto, a differenza delle occidentali europee, che hanno costituzioni fisiche più mediterranee e quindi con un bacino più largo, e questo fa sì che il mercato dell'immagine del corpo femminile si avvicini sempre di più a fisici che non rappresentano più la normalità della nostra cultura e della nostra tradizione mediterranea o occidentale, ma che cionondimeno non sono deformati dall'anoressia, ma solo da una differente origine etnica».
Pulcheropatia: una guerra con i numeri, e con se stesse
«Pulchero-patia, cioè bellezza dolorosa (dal latino pulcher, cioè bello), oppure anche afrodalgia (il dolore di Afrodite, dea della Bellezza): si tratta di un patologia molto diffusa, ma il cui nome viene spesso confuso con l'anoressia o l'isteria femminile; in realtà riguarda proprio quei casi in cui la bellezza, o meglio un certo ideale estetico (tra cui la magrezza delle modelle), crea una serie di manie, ossessioni e inibizioni nelle ragazze che cercano di raggiungere quel modello, spesso senza riuscirci.
È importante far emergere all'onore delle cronache questa forma intermedia di patologia che, senza sconfinare nell'anoressia, crea grandi patimenti e spinge molte ragazze a cercare metodi insani, irrazionali o estenuanti per raggiungere il loro ideale di magrezza.
Ma il loro ideale rimane però la magrezza, senza sconfinare nell'ideale anoressico della totale cancellazione del corpo, e quindi della morte. Si tratta perciò di un ideale di magrezza che rimane nel campo della numerazione, cioè c'è un numero (di chili di peso o di taglia di abiti) che può realmente soddisfare l'aspettativa di queste ragazze, contrariamente a quanto avviene nell'anoressia in cui il peso non è mai abbastanza basso.
Una nota curiosa: in latino bello non si diceva solo pulcher ma anche bellum, un termine dal significato ambivalente: bellum infatti non indicava solo la bellezza, ma anche la guerra (da cui la parole ancora in uso bellicoso, arsenale bellico, ecc); una vicinanza tra bellezza e arte della guerra (e quindi della distruzione) che deve farci pensare…»
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L’anoressia nervosa può essere lieve e transitoria oppure grave e di lunga durata. La maggior parte dei pazienti già magri è preoccupata per il peso corporeo e limita l’assunzione del cibo, anche se sopravviene il deperimento.
Il termine anoressia, però, viene utilizzato in modo improprio, in quanto indica l’assenza dello stimolo della fame. Il paziente o la paziente anoressica, invece, conservano comunque l’appetito, anche se fanno di tutto per mortificarlo: studiano diete e calorie, accumulano, nascondono e gettano via il cibo, collezionano ricette e preparano pasti elaborati per altre persone.
I soggetti anoressici, inoltre, sono spesso manipolativi: mentono sull’assunzione di cibo e sui comportamenti tenuti di nascosto, come l’auto-induzione del vomito.
In un caso su due, utilizzano anche (e sempre di nascosto) diuretici e lassativi, soprattutto nel caso in cui convivano anoressia e bulimia nervosa, con conseguenti abbuffate non accettate.
Chi soffre di anoressia nervosa tende anche a praticare attività fisica in maniera eccessiva e maniacale, a perdere interesse nel sesso e a soffrire di frequenti episodi di depressione.
Tra i sintomi puramente fisici si annoverano invece stipsi, meteorismo, bradicardia, ipotermia, lanugine o leggero irsutismo, edema.
Le alterazioni endrocrine comprendono schemi di secrezione dell’ormone luteinizzante tipici della fase prepuberale o puberale, bassi livelli di tiroxina e triiodotironina e aumento della secrezione di cortisolo.
In un paziente gravemente malnutrito, praticamente ogni sistema d’organo principale può risultare compromesso.
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La diagnosi di anoressia nervosa ruota attorno a una parola: negazione. E’ questa una delle caratteristiche principali dei pazienti, che oppongono forte resistenza alla valutazione e al trattamento.
Generalmente il malato viene condotto all’attenzione del medico dai famigliari, oppure a causa di malattie concomitanti. L’anoressia a qual punto è solitamente evidente sulla base della sintomatologia caratteristica, e soprattutto per la perdita di più del 15% del peso corporeo in un soggetto giovane che teme l’obesità, presenta amenorrea, nega la malattia e per il resto sembra stare bene.
La chiave per la diagnosi consiste proprio nel far emergere la paura di ingrassare, paura che si traduce con la perdita di peso. Nelle donne, l’amenorrea è necessaria per porre la diagnosi, mentre nei casi gravi può essere necessaria la diagnosi differenziale con una depressione grave o con sintomi che suggeriscono un altro disturbo, come la schizofrenia.
Raramente accade che un disturbo fisico grave, come un’enterite regionale o un tumore cerebrale, possano essere diagnosticati per errore come anoressia. L’abuso di anfetamine può invece produrre sintomi simili.
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Se si guardano le statistiche di chi soffre di anoressia e bulimia scopriamo che si 10 persone 9 sono donne.
Perché? La risposta arriva da Giappone. Sembra che la questione sia di carattere cognitivo e in particolare che tutto dipenda dal modo in cui uomini e donne processano idee, concetti, immagini e parole che riguardano il corpo.
I risultati della ricerca di un equipe giapponese dalla università di Hiroshima pubblicata sul British Journal of Psychiatry mostrano che gli uomini attivano in questi ambiti processi più razionali e le donne più emozionali.
Questo può aiutare a spiegare perché situazioni psicologiche difficili (stress familiare, scolastico e tra amici) può portare verso anoressia e bulimia in particolare per le ragazze.
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Alcuni ricercatori svizzeri hanno scoperto che tra 288 donne alle quali era stato diagnosticato un disturbo alimentare come l’anoressia o la bulimia, era più facile che quelle che ricorrevano all’uso di purghe avessero tentato il suicidio in passato.
Entrambi i disturbi alimentari si basano su una distorta percezione del proprio corpo e sul timore ossessivo di aumentare di peso, e spesso ognuna delle patologie coincide con altri disturbi psichiatrici come depressione, ansia o abuso di sostanze.
Coloro che soffrono di disturbi alimentari sono esposti ad un maggiore rischio di suicidio rispetto alla popolazione generale.
In questo nuovo studio i ricercatori dell’Ospedale Universitario di Zurigo hanno scoperto che oltre un terzo delle donne anoressiche che si alimentavano in modo incontrollato e poi ricorrevano alle purghe affermava di avere già tentato il suicidio, rispetto a soltanto l’11% delle anoressiche il cui disturbo consisteva esclusivamente nella forte limitazione della quantità di cibo ingerito.
Analogamente anche il 30% delle donne bulimiche che dopo le abbuffate di cibo ricorrevano alle purghe aveva già tentato di togliersi la vita.
Secondo gli autori dello studio, coordinati dalla dottoressa Gabriella Milos, riuscire a capire quali pazienti affetti da un disturbo alimentare siano più propensi a tentare il suicidio potrebbe aiutare a fornire un trattamento adeguato ai soggetti ad alto rischio.
Questo studio ha coinvolto soprattutto donne adulte in trattamento per anoressia o bulimia, ma anche alcune donne alle quali era stato diagnosticato un disturbo alimentare non specifico.
Durante i colloqui il 26% delle intervistate affermava di avere tentato il suicidio in passato e delle donne che si imbottivano di cibo e poi ricorrevano alle purghe il 31% affermava di averlo già fatto almeno una volta contro il 12% di quelle che non utilizzavano le purghe.
La maggior parte delle donne coinvolte nello studio soffriva anche di un disturbo associato come ansia o depressione e la maggioranza di quelle che avevano tentato il suicidio manifestava più di un disturbo psichiatrico associato.
La Milos e i suoi collaboratori sottolineano che imbottirsi di cibo per poi ricorrere alle purghe implica un problema di controllo degli impulsi, e i risultati dello studio confermano l’idea che l’impulsività è un importante precursore dei tentativi di suicidio.
I ricercatori hanno anche scoperto che le donne che soffrono di anoressia, a differenza di quelle bulimiche sono più portate a coltivare l’idea del suicidio ma non a tradurla nei fatti.
L’insufficiente apporto alimentare dell’anoressica è una forma di auto-lesionismo permanente e il conseguente elevato livello di stress può servire a spiegare la significativa presenza di pensieri suicidi.
FONTE: General Hospital Psychiatry
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Senza trattamento, il tasso di mortalità dell’anoressia nervosa si avvicina al 10%, e riguarda soprattutto i casi gravi.
Una terapia adeguata permette invece il recupero pressochè completo del peso per la metà dei malatti, sebbene un quarto di essi rimanga esposto al rischio di recidive e di complicanze di ordine fisico o mentale.
Il trattamento d’urgenza prevede un ricovero salvavita per il ripristino del peso corporeo, sempre sguito da una terapia a lungo termine per migliorare il funzionamento mentale e prevenire le ricadute.
Generalmente, l’ospedalizzazione viene richiesta quando il peso è sceso al di sotto del 75% rispetto a quello ideale. In questo caso si procede alla terapia nutrizionale, che comincia dalle 30-40 calorie quotidiane e permette un recupero del peso corporeo compreso tra 0,5 e 1,5 chili a settimana.
La perdita di massa ossea viene invece trattata con integrazioni di calcio (1200-1500 mg/die), vitamina D (600-800 UI/die) e bifosfonato.
Una volta stabilizzato lo stato nutrizionale e l’equilibrio elettrolitico, ha inizio la terapia a lungo termine, basata sulla psicoterapia individuale di tipo cognitivo-comportamentale, affiancata da quella familiare.
Gli antipsicotici di seconda generazione (ad esempio olanzapina) possono aiutare ad aumentare il peso e ad alleviare la paura patologica dell’obesità, mentre la fluoxetina può contribuire a prevenire le ricadute.
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La polemica sulle taglie, da mesi sotto i riflettori nell’ambito del più ampio dibattito sull’anoressia, potrebbe presto avere, se non una fine, almeno un punto di partenza univoco su cui dibattere.
Dopo un lungo iter normativo, infatti, è ormai giunta in dirittura d'arrivo la nuova norma europea relativa alla codificazione delle taglie di abbigliamento (EN 13402-4).
Proprio per questo, la Federazione imprese tessili e moda italiane e UNITEX, ente federato UNI per l'unificazione nel settore tessile, hanno organizzato un convegno, che si svolgerà a Milano presso la sede UNI il 26 febbraio prossimo, durante il quale sarà illustrato lo stato di avanzamento dei lavori europei e i contenuti della norma stessa.
L’incontro giunge proprio all’indomani della querelle sollevata dalla recente settimana della moda milanese, che ha visto svolgersi sulle sue passerelle una notevole contraddizione: da una parte hanno sfilato con successo le taglie forti di una nota firma italiana, dall’altra gli stilisti hanno rifiutato di dare spazio alla collezione 46...52 Plusize, che verrà presentata invece al salone delle taglie comode che si terrà a Fieramilanocity dal 23 al 26 febbraio.
Così, mentre il Consiglio degli stilisti americani ha sottoscritto un protocollo che mette al bando le taglie troppo piccole e prescrive controlli medici regolari per le modelle, la strada italiana alla normalizzazione delle taglie e dei modelli imposti dalla moda sembra essere ancora lunga.
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